Domenica 14 aprile si sono chiusi i seggi delle elezioni per la Presidenza della Repubblica Bolivariana di Venezuela. Sono le seconde elezioni presidenziali in sei mesi, un banco di prova importantissimo sia per il successore di Chavez, Nicolas Maduro, ma anche per l’opposizione capitanata da Henrique Capriles Radonski.
Il risultato e i commenti della stampa.
La vittoria di Maduro non è stata cospicua: il 50,7% contro il 49% di Radonski, uno scarto di 250.000 voti su 14 milioni di votanti (1,78% circa). C’è stata un’affluenza più elevata della media, vicina all’80% degli aventi diritto, dimostrazione del fatto che la morte del leader carismatico Chavez non ha scoraggiato il popolo venezuelano dal partecipare a delle elezioni seppur ravvicinate rispetto alle scorse. I commenti dei giornalisti, analisti e giornalai “nostrani” non si sono fatti attendere e hanno seguito le dichiarazioni di Radonski come uno strascico segue l’abito da sposa. Dal suo profilo twitter, lo sfidante Capriles annuncia di voler “cambiare la volontà espressa dal popolo”[1] riconteggiando le schede e denunciando irregolarità. Questa mattina, nel migliore dei casi si potevano leggere titoli come Vittoria risicata di Maduro, nel peggiore Maduro, un presidente delegittimato.
Se si legge la Costituzione del Venezuela, così come modificata nel 1999, e la Ley Organica del Sufragio y Participaciòn Politica, si comprende come il sistema venezuelano per eleggere il Presidente sia di semplice interpretazione, di immediato risultato e di larga partecipazione. Hanno diritto al voto tutti i cittadini maggiorenni (18 anni), non condannati in via definitiva, senza interdizioni civili e non condannati penalmente[2] iscritti al Registro Elettorale Permanente. Vince il candidato che ha conseguito la maggioranza relativa dei voti nell’unico turno previsto[3]. Le incompatibilità con la carica di Presidente sono definite ex Art. 229 della Costituzione.
Partendo da quest’ultima, tra i due candidati solo Capriles sarebbe delegittimato a esercitare la carica di Presidente, infatti, essendo governatore dello Stato del Miranda dal 2008, risulta incompatibile. Per quanto concerne il risultato, sono due i ragionamenti da fare:
1. Comparando elezioni Presidenziali di altri Stati con quelle del Venezuela, ci si rende conto che gli scarti tra i due candidati non sono poi così diversi tra diversi Paesi (tranne casi sporadici come la Bulgaria). Anzi, se si tene conto che spesso le elezioni Presidenziali sono caratterizzate da un primo e un secondo turno, possiamo concludere che la “legittimazione” del candidato vincente (seppur con risicato scarto) è di gran lunga più alta in Venezuela (che ha un turno solo e più di due candidati) rispetto agli altri Stati (in cui al primo turno il candidato che prende più voti, di solito, si attesta tra il 28% e il 40%)[4].
2. Bisogna tenere presente che il sistema venezuelano è “il migliore del mondo”[5] anche perché prevede un sistema di voto digitalizzato in grado di leggere le impronte digitali dei votanti che ricevono una ricevuta ogni volta che esercitano il loro diritto; per questo, il rischio di brogli è parecchio ridotto. Non solo. Nella riforma costituzionale apportata da Chavez nel 2000, è previsto l’istituto del referendum revocatorio di metà mandato per tutte le cariche elette della Repubblica, compreso il Presidente.
Maduro sa bene quanto vale la democrazia venezuelana, per questo non ha avuto esitazioni a dichiarare che riconteggiare il 100% dei voti non rappresenta un problema[6].
La sfida politica del dopo Chavez.
A livello di politica interna, il dopo-Chavez lascia una pesante eredità. Dal punto di vista economico, gli anni d’oro del Venezuela sono passati e il Paese deve fare i conti da un paio di anni con l’inflazione, la corruzione e la crisi energetica. Vi è la necessità di conciliare tutti questi problemi con il mantenimento della rivoluzione bolivariana e, quindi, garantire occupazione e servizi soprattutto alle fasce più deboli della popolazione (che soffrono la crisi abitativa). L’inflazione è in calo rispetto al 2011, il PIL (anche quello pro-capite) continua a crescere ma l’indebitamento sta salendo rapidamente e l’industria petrolifera deve fronteggiare il calo del prezzo dell’oro nero[7]. La produzione di energia è sorretta per il 35% da sistemi idroelettrici che fanno calare in maniera notevole la domanda interna di petrolio[8]. Nonostante ciò, urge un piano di diversificazione dell’economia.
Politicamente, Maduro si è trovato e si troverà a fare i conti con i militari. Infatti, a differenza di Chavez, il neo presidente venezuelano non proviene dalle file dell’esercito che ha ancora un ruolo chiave all’interno del Paese. Maduro è un ex guidatore di autobus e un ex sindacalista, ma nonostante questo si è dimostrato all’altezza di dialogare con i militari, ribadendo, anche pubblicamente e anche alla presenza degli stessi Ufficiali, che il momento è critico e c’è la necessità di restare uniti per la difesa della Costituzione. La fermezza che dimostrerà nell’esercizio del potere sarà fondamentale per evitare una fronda militare interna al PSUV.
Maduro è stato per anni il Ministro degli Esteri di Chavez. La sua politica estera è stata caratterizzata dalla vicinanza a Cuba, all’Ecuador, al Brasile e alla Bolivia, dall’anti-americanismo, dalla diffusione del messaggio di Bolivar verso l’estero, dall’amicizia con i Brics e dalla promozione/implementazione di quell’importante progetto che è il Mercosur. Finita la crisi diplomatica con la Colombia del 2010[9], il neo-Presidente dovrà risolvere i problemi di rivendicazione territoriale con il Guyana e cercare di raffreddare un minimo i rapporti con gli Stati Uniti, se non altro per il motivo che gli States assorbono circa il 40% dell’export venezuelano e non pare sia stata proficua la guerra diplomatica dello scorso marzo tra i due Paesi, in cui vi fu un’espulsione reciproca dei corpi diplomatici[10] e a cui si aggiunsero anche le dichiarazioni di Maduro che imputò agli Stati Uniti l’inoculazione del cancro ai danni dell’ormai defunto Chavez.
Conclusioni. Cosa è rimasto del chavismo. Cosa ne rimarrà.
Possiamo con certezza affermare che il chavismo senza Chavez è sopravvissuto: facendo una comparazione tra le scorse presidenziali e le ultime, si può notare sicuramente una notevole flessione in termini percentuali del PSUV (circa il 5%) a fronte di un corrispondente incremento dell’opposizione. Nonostante il calo, la disfatta del chavismo, così come prevista da alcuni, non è arrivata. Le idee sono sopravvissute all’uomo e continuano a marciare tra il popolo. Plausibilmente, il nuovo Presidente si butterà a capofitto nella politica interna, cercando di risolvere i problemi del Paese che per le condizioni economiche in cui versa, renderà più difficile la prosecuzione del progetto bolivariano. L’idea chavista/bolivariana difficilmente sarà messa in disparte: se in politica interna questa è solidarietà alle fasce più deboli, ridistribuzione della ricchezza e socializzazione, probabilmente non c’è candidato migliore di Maduro capace di interpretare le esigenze delle fasce più svantaggiate, soprattutto per la sua stessa provenienza sociale e per la sua gavetta politica. La prosecuzione di questo progetto rivoluzionario, sarà importante non solo per il popolo, ma anche per lo stesso Presidente: con un vantaggio così risicato, ha solo pochi anni per incrementare il consenso ed evitare di essere sconfitto da un referendum revocatorio, che porrebbe fine alla sua carriera politica, ma probabilmente anche al chavismo così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi.
Marcello Ciola.
[1] http://www.vtv.gob.ve/articulos/2013/04/15/capriles-radonski-presuntamente-a-traves-de-su-twitter-llamo-al-mundo-a-desconocer-la-voluntad-del-pueblo-3419.html.
[2] http://www.tsj.gov.ve/legislacion/LOSPP.htm. Art. 85 LOSPP.
[3] Ibidem. Art. 10 LOSPP.
[4] Seppur non è un sistema presidenziale e si tratta di risultati relativi all’elezione del Presidente del Consiglio, se si fa un raffronto con elezioni italiane recenti, si possono vedere scarti tra i due candidati di entità di gran lunga minore a quello dell’1,7% che separa Capriles da Maduro. Dati relativi al Senato, elezioni 2013, parlano di uno scarto di 280.000 voti tra Csx e Cdx su un totale di 30 milioni di aventi diritto, vale a dire uno scarto dello 0,93%. Se passiamo alla Camera, nelle stesse elezioni c’è uno scarto dello 0,36%. Se andiamo indietro di qualche anno, nel 2006, i dati relativi alla Camera parlano di uno scarto dello 0,06% (!!!). Non mi sembra che gli organi di stampa nostrani (o esteri) abbiano messo in dubbio la legittimità di chi, seppur di poco, ha vinto le elezioni italiane. Nei confronti del chavismo, probabilmente, il metro di valutazione cambia.
[5] Lo dice la Fondazione Carter Center, dell’ ex Presidente degli Stati Uniti http://venezuelanalysis.com/news/7272.
[9] http://en.mercopress.com/2010/08/12/chavez-admits-colombia-can-sign-military-agreements-even-with-united-states. Questo è quello che emerge dalle fonti. I rapporti rimangono comunque molto freddi.
[10] Maduro accusò gli addetti militari americani a Caracas di interferire con la politica interna venezuelana. Una settimana dopo gli Usa espulsero, in risposta, il corpo diplomatico venezuelano. http://www.nytimes.com/2013/03/12/world/americas/us-expels-two-venezuelan-diplomats.html?ref=todayspaper&_r=1&.