
“SHEMÀ, ISRAEL”
È l’antica, bellissima formula liturgica che invita a prestare attenzione. Non permettere che questa tua eredità sublime venga profanata: basta col martirio di morti innocenti a Gaza.
La manifestazione romana del 7 giugno, l’aspettiamo tutti con ansia, anzi con timore e tremore. È sacrosanta: e sarebbe essenziale che si svolgesse in modo inappuntabile: senza equivoci, senza incidenti, senza provocazioni. Ma è purtroppo un boccone troppo ghiotto per agenti di Netanyahu e per imbecilli antisemiti.
Ci vorrebbe un miracolo perché tutto andasse liscio. E tuttavia, quanto a me, da buon cattolico, ai miracoli ci credo.
Nell’imminenza dell’evento, molti hanno fatto sentire in vario modo esplicitamente la loro voce. È capitato perfino a me, che non conto quasi nulla. Su Repubblica di mercoledì 28, a pagina 6, il bravo Concetto Vecchio mi ha dedicato un “taglio basso” che la canta bella chiara.
Tuttavia, Vecchio mi definisce “storico e saggista noto per le posizioni di destra”. E forse proprio per questo ha pensato a me: affinché fossi io a lanciare al “popolo della destra” un deciso e appassionato appello affinché anch’esso partecipi a un evento moralmente indispensabile, che deve trovarci tutti uniti nel nome dell’umanità e al di sopra di qualunque differenza o distinzione. Una volta tanto, ripetiamolo convinti: Senza Se e Senza Ma.
Ciò premesso, ritengo tuttavia che per quanto mi riguarda un aggiornamento chiarificatore sarebbe opportuno. Io sono, e da decenni lo vado ripetendo, un cattolico socialista ed europeista. Né più né meno. Ma non mi sogno nemmeno né di offendermi né d’indignarmi dinanzi all’etichetta appostami dal bravo Concetto Vecchio, che anzi ringrazio.
Il fatto è che fascista sono stato davvero, e con serietà. Molti anni or sono.
Nato nel 1940, dal Movimento Sociale Italiano nelle formazioni giovanili del quale militavo dal 1953 (oh, Trieste italiana!) divenendo anche membro della Direzione Nazionale, me ne andai nel 1965 dopo aver firmato con una dozzina di camerati un documento dal carattere inequivocabile.
Ero fascista eccome. Non lo rinnego né lo dimentico. Perché molti di noi ragazzini e/o ragazzacci della Fiamma Tricolore di sessant’anni fa – picchiati più spesso che non “picchiatori”: se non altro perché eravamo quattro gatti – leggevamo e studiavamo sul serio, per giunta su riviste spesso di qualche valore: e potrei fare qualche nome illustre fra quelli che ci sono passati. Ma non è mio còmpito: tra i superstiti lo farà, di loro, chi vorrà farlo.
Ero fascista, quindi. Magari a modo mio. Mi definivo di “estremissima destra”, da cattolico tradizionalista e allievo spirituale di De Maistre e di Donoso Cortés: quindi spiritualmente arcireazionario, allineato con i gesuiti delle reducciones del Guaraní (quelli che insegnavano agli indios della foresta pluviale come combattere le bande schiaviste dei bandeirantes di São Paulo) e fedele alla memoria del Sacro Romano Impero. E non nego che nella mia tavolozza ideologica non mancasse nemmeno qualche pennellata evoliana. Se fossi in vena di polemiche ideologiche, rivendicherei a questo punto addirittura, paradossalmente, un mio merito antifascista: perché tutto ero fuorché nazionalista e patriottardo, la “Piccola Vedetta Lombarda” che tanto commuove Valditara e Galli della Loggia mi stava fieramente antipatica, insomma le mazziniane camicie nere (specie quelle repubblichine) non mi avrebbero mai voluto fra loro.
Ma quel tempo è trascorso. Giunse rapida e violenta, proprio in quegli anni, la ventata guevarista (“aprendimos a quererte…”): e poi, del resto, anche come fascista convinto, ero sempre stato sotto il profilo del pensiero sociale un allievo di Berto Ricci, adepto della socializzazione sino a negare il diritto di proprietà privata.
I nipotini di Ugo Spirito e di Stanis Ruinas mi capiranno. Forse è anche per queste lontane radici giovanili, magari depositate nell’inconscio, che mi è sempre tanto piaciuto il “peronista” Jorge Mario Bergoglio, papa Francesco.
Ormai, però, non è più tempo di amarcord. A Gaza si soffre e si muore sul serio. Nella sua intervista, Concetto Vecchio mi ha ricordato che “molti definiscono Netanyahu un fascista”, al che ho risposto letteralmente: “L’epiteto fascista è inflazionato. Chiamiamo le cose con il loro nome”.
Ebbene, sì. Quel mascalzone che l’Alta Corte di Giustizia del suo paese sta aspettando al varco appena sarà scaduto il mandato di pubblico funzionario che per ora lo protegge non merita alcuna giustificazione: nemmeno quelle ideologicamente più imbarazzanti. Macché fascista, bando agli equivoci: è un farabutto massacratore che nella migliore delle ipotesi continua a massacrare donne e bambini e ad affamare un popolo intero salvo poi dileggiarlo con ripugnanti battute di spirito. Sta causando al suo stesso paese un male indicibile e forse irreversibile: e saranno i suoi stessi compatrioti a maledirlo per sempre. Vero è che qualcuno ha pur chiamato in causa il Padre stesso della Patria Israeliana, Jabotinsky, ricordando ch’egli era sul serio, e si proclamava, un “fascista”. Ma i tempi e i contesti erano del tutto diversi: bando alla confusione. Netanyahu è un criminale e basta.
Sempre su Repubblica del 28 maggio, a pagina 16, una signora ebrea mia quasi concittadina, Anna Belgrado, scrive con bella, onesta chiarezza: “A proposito di quello che lo Stato d’Israele sta facendo a Gaza e in Cisgiordania, sia chiaro: non in mio nome”. Brava, Anna: che Dio ti benedica.
Allora, Shemà, Israel: ripetiamola anche noi, ora, quest’antica bellissima formula liturgica. Ascolta, Israele. Noi ti amiamo tutti davvero, noialtri uomini e donne di buona volontà: rispettiamo la tua sofferenza millenaria, facciamo nostra la memoria sacrosanta della Shoah. Non permettere che questa tua eredità sublime venga profanata da un mostro che bestemmia quando afferma a sua volta di amarti. Basta col martirio di Gaza. Basta con i morti innocenti. Riprendi il tuo cammino: combatti, lavora, resta degna di te stessa. Liberati dai fantasmi sanguinari che sono obiettivamente i peggiori antisemiti. Liberati dal tuo nemico che marcia ancora alla tua testa.
Franco Cardini