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Un Don Carlos a scena nuda, ma… molto seducente! di D. Del Nero (tratto da Totalità.it)

11 Maggio 2013
in Articoli

Costretti al risparmio sono mancate la scena e la recitazione, non per questo è venuta meno la resa interpretativa del cast.


Ancora una volta, la scommessa è stata vinta. Anche se privo della sontuosa veste che gli spettava come Grand  Opera, concepito per le scene di Parigi dove debuttò proprio all’Opéra nel 1867, il grandioso melodramma verdiano, pietra miliare e momento importantissimo di maturazione artistica del musicista di Busseto ha convinto e entusiasmato. Dramma della gelosia e dell’amore, ma soprattutto del potere, veramente quest’opera, ben congegnata anche da un punto di vista drammaturgico, rivela di che lacrime grondi e di che sangue ogni scettro; e non solo per i sudditi, ma anche e forse soprattutto per i sovrani. Certo con buona pace dell’obiettività e della verità storica, (considerando che nella realtà Don Carlos era un “tantino” squilibrato e suo padre, che era stato molto paziente e indulgente nei suoi confronti dovette farlo imprigionare solo quando il pargolo cominciò a tramare contro di lui; come furono pure malignità le voci di un innamoramento tra il principe e la matrigna Elisabetta)  ma chiedere una cosa del genere al melodramma e soprattutto a quello dell’800 è come pretendere onestà e competenza dalla classe politica italiana odierna, che tra l’altro non ha neppure la l’attenuante artistica. Certo che da Vittorio Alfieri sino librettisti di Verdi, Mery e Du Locle,  venne fuori una bella “leggenda nera”, ancor oggi dura a morire.

Per amor dell’arte tuttavia  si possono perdonare tante cose, anche se certo la verità andrebbe sempre e comunque ristabilita e conosciuta. Ma tornando allo spettacolo fiorentino, non si può negare che la mancanza dei costumi, delle scenografie e dell’azione abbia pesato e non poco; se in qualsiasi opera la scena è fondamentale, in quelle come il Don Carlos è addirittura parte integrante dello spettacolo stesso. Ma detto questo, bisogna anche riconoscere che in queste condizioni era impossibile fare di più e di meglio.  Il teatro, data l’attuale grave situazione di crisi, ha dovuto giocoforza puntare tutto sulla musica; e la musica ha saputo davvero impugnare lo scettro e farsi sovrana delle recite.

Merito, anzitutto, dell’orchestra e della direzione di Zubin Mehta, che ha saputo veramente far brillare tutti i colori della partitura: da quello “regale” e grandioso, con le magnifiche scene regali e corali, facendo vibrare tutte le sonorità di una orchestrazione che finalmente abbandona la faciloneria un po’ bandistica che in tante opere verdiane provoca non poca irritazione.  E grazie al suono potente e compatto, a una nitidezza unita a energia e passione nella direzione d Mehta, grazie alla quale risaltavano sia i ruoli degli strumenti soliti che le sezioni orchestrali, lo spettacolo c’ stato e come: “Vi prometto che noi e l’Orchestra ce la faremo” – ha dichiarato il maestro allo spettacolo inaugurale, e bisogna dargli davvero atto che ha tenuto la parola.

E se sicuramente sono mancate la scena e la recitazione, non per questo è venuta meno la resa interpretativa del cast.  Il basso Dmitry Beloselskiy ha delineato con ottima voce un Filippo II inflessibile e severo, anche se forse un po’ troppo “monolitico”, il che non gli ha consentito di caratterizzare al meglio la celebre e bellissima aria “dormirò sol nel manto mio regal”, forse il più bel pezzo per basso scritto da Verdi. Il tenore Massimo Giordano (Don Carlos)  ha dato prova di una voce chiara e aperta, con una buona dizione e con una passionalità che riusciva a tratti a far dimenticare la mancanza della scena; ma forse un po’ fragile negli acuti, il che comunque non giustifica affatto alcuni assurdi fischi di cui è stato “gratificato” la sera di mercoledì 8; convincente e commovente anche il marchese di Posa del baritono Gabriele Viviani.

Dolcissima e regale l’Elisabetta della soprano Kristin Lewis, dotata di una tecnica impeccabile e di grande maestria nelle lunghe note filate, mentre la principessa Eboli di Ekaterina Gubanova, malgrado un esordio vocalmente un po’ opaco, ha poi saputo acquistare vivacità e colore nel corso dello spettacolo.

Uno spettacolo dunque che merita veramente di essere visto e soprattutto ascoltato; peccato però che la sera di mercoledì 8 maggio si siano visti diversi posti vuoti nei vari ordini. Si spera che l’ultima rappresentazione  (domenica 12) possa invece registrare il tutto esaurito. Lo meriterebbero il cast, il teatro e anche Firenze, che nel Maggio Musicale ha ancora una delle poche istituzioni culturali di livello internazionale. Certo con molte “stonature e stecche” da risanare e eliminare, ma che merita comunque di continuare a vivere e che non deve assolutamente “vivacchiare”.


 

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