C’è ormai in Italia una grande maggioranza di cittadini che non è per nulla soddisfatta della politica dell’Unione europea e spera di poter cogliere una delle occasioni offerte da questo fatidico anno 2014 per cambiarla: le elezioni per il Parlamento europeo e il semestre di presidenza italiana.
È facilmente prevedibile che molti elettori (probabilmente i più), imbambolati dalle chiacchiere e dagli 80 euro di Matteo Renzi, punteranno sulla carta della presidenza italiana, in realtà una scartina, perché si tratta di un incarico meramente formale, privo di qualunque sostanziale potere anche di semplice indirizzo, dal momento che tutto è già stato deciso in precedenza. Del resto, al di là di ogni altra considerazione, è facile capire che in sei mesi nessuno, nemmeno un taumaturgo, può cambiare la politica di un continente. E, difatti, nessuno vi è riuscito.
Ovviamente, per quanto sprovveduto sia, anche Renzi lo sa benissimo: semplicemente spera di utilizzare, attraverso lo specchietto del semestre di presidenza, lo scontento degli italiani a fini interni, per un successo ricco di ricadute personali del suo partito, che presenta come l’unico capace di imprimere all’Europa la svolta da tutti auspicata.
Purtroppo anche l’altra occasione di manifestazione del dissenso, le elezioni del Parlamento europeo, è a forte rischio di insignificanza.
Il Parlamento è l’unico organo elettivo della Ue e proprio per questo, in una costruzione che si è voluta erigere prescindendo dalla volontà dei popoli o addirittura contro (alcuni dei suoi creatori e sostenitori lo hanno detto apertamente), si è avuto cura di attribuirgli pressoché unicamente funzioni consultive, negandogli ogni vero potere. A parte il caso particolare della Banca Centrale Europea, con sede a Francoforte, la cui assoluta autonomia è garantita dalla sua natura privatistica che la mette al riparo da qualunque intemperanza dei sudditi (purtroppo non siamo cittadini, come ci si vorrebbe far credere) europei e perfino dei governi dei singoli Stati, nella Ue il potere non sta a Strasburgo (sede principale e simbolica del Parlamento), ma a Bruxelles e in Lussemburgo. Lì hanno sede la Commissione Europea e il Consiglio Europeo. La prima è l’organo decisivo, includendo fra i propri vastissimi poteri, in condominio con il Consiglio, quello di fare le leggi, che nelle democrazie è riservato ai parlamenti. Al Consiglio spetta poi il potere di indirizzo della politica dell’Unione, definendone gli orientamenti generali e le priorità.
Ciò non toglie che i potentati europei, gli eurocrati dei vari livelli, non possano completamente prescindere dagli umori e dalle volontà dei sudditi specialmente quando il dissenso diventi particolarmente forte e minacci di giungere al punto di rottura. Le elezioni del Parlamento europeo servono anche a questo, a misurare l’indice di gradimento (oggi meglio si direbbe di sgradimento) e a mettere Commissione e Consiglio in condizione di evitare la perseveranza in politiche che, superando l’indice di tollerabilità (non tutti gli europei sono pazienti come il popolo italiano), potrebbero ritorcersi anche a loro danno. Insomma, in mancanza di meglio, si tratta di mandare un segnale il più forte possibile, inviando al Parlamento il maggior numero di rappresentanti dei partiti euroscettici o eurocritici, possibilmente abbastanza numerosi per riuscire ad influire sull’esercizio dell’unico vero potere spettante al Parlamento europeo: l’approvazione del bilancio annuale dell’Unione.
Francesco Mario Agnoli