Social network, crisi economica, bassezza del livello politico: sembrano questioni distanti tra loro, eppure hanno un punto in comune ben preciso. E ci potremmo aggiungere il sistema scolastico, l’involuzione della cultura, l’abbandono dei vecchi mestieri, la mancanza di giovani agricoltori, e cosi via.
Dunque? Qual è questo filo rosso? Semplice: è la velocità, l’idea – ideologicamente assurda – che occorra per dogma fondante massimizzare le utilità riducendo i tempi. Tutto deve essere talmente veloce, da dover essere istantaneo. Non c’è tempo per costruire, pensare, educare, lavorare, immaginare…
Tutto e subito. Ed al passo con i tempi. E guai a non adeguarsi.
Così, l’idea che il denaro potesse produrre altro denaro in maniera immediata attraverso operazioni speculative fruibili con un semplice “click”, ha causato una serie di reazioni a catena di cui oggi si notano gli amari frutti.
Il concetto che la misura della politica sia data dal numero di voti che nel brevissimo periodo si riescono a catalizzare, ha mandato in soffitta tutto il resto: primum vincere, deinde philosophari, si direbbe con approccio realista. Ma il fatto è che oggi è rimasto solo il dover vincere fine a se stesso. Il resto non esiste. Non c’è.
Ma la cosa corre sempre più verso il baratro del nulla: non si contano i politici che non solo misurano ma che vengono misurati attraverso i “mi piace” o i numero di “followers”.
E dunque, connessione 24 ore no stop per esprimere in meno di un rigo concetti, idee, programmi, che vengono aggiornati minuto per minuto.
Capirai, in un” tweet”, il livello di approfondimento…
La verità è che potremmo continuare con gli esempi all’infinito, ma possiamo limitarci semplicemente a dare atto di quanto davvero ormai sia tutto talmente veloce da non essere più afferrabile sotto alcun punto di vista.
L’idea consumistica che un oggetto deve durare il meno possibile per essere poi gettato al fine di comprarne un altro, si è ormai imposta in ogni ambito del vivere civile.
Ed i social network ne sono un esempio lampante: una home page si scorre in pochi minuti, ed è carica di notizie – e di opinioni (sic!) – sì da creare una saturazione informativa che non consente il minimo discernimento.
Come distinguere la notizia vera da quella falsa, se ci si limita ai “titoli” o alla mera condivisione, senza attenta ricerca delle fonti? E poi, interessa conoscere quale sia l’opinione più aderente al vero o no?
Ed allora, pare doveroso chiedersi con quali strumenti tentare l’impresa titanica di fornire un registro completamente opposto a quello attuale, fatto di ricerca, approfondimento, formazione, sacrificio, apprendimento…
Il rischio è chiaramente quello di fare, per citare a sproposito il Vangelo, la voce di coloro che gridano del deserto.
O peggio la lotta contro i mulini a vento.
Il fatto è che occorre re-insegnare alla gente ad aver cura: è questo quello che manca nel delirio tipico della modernità.
Com’è noto, dal verbo latino “colere”, sono nati termini variegati quali cultura, coltivare, culto, curare: ciò, dovrebbe far riflettere molti, soprattutto sul legame strettissimo che vi è tra queste parole apparentemente distanti.
Non si fa cultura se non si coltiva; non si coltiva se non ci si prende cura; non vi è alcun culto senza curare; non si può coltivare se non si ha la cultura della cura.
Passaggi di vita. Amore per le cose che crescono lentamente. Saggezza contadina. Senso religioso. Amore per la conoscenza. Voler imparare un mestiere e a realizzare.
Fondamentali perduti nel mondo di oggi, fatto di bit e di rapporti virtuali veloci ed immediati.
Il prendersi cura richiede tempo. Ed il tempo fa fruttare ciò che si semina.
C’è una un passaggio nel Signore degli Anelli che delinea l’abbandono di un modello antropologico fondato sull’aver cura a quello basato sull’immediatezza che allontana dal Vero e dall’essenza delle cose per catapultare il mondo nella freddezza della tecnica.
E’ Barbalbero, il pastore di alberi, a spiegare ai due hobbit che lo accompagnano nella foresta il cambiamento subito da Saruman: “ormai ha una mente di metallo e ingranaggi, e non si cura più delle cose che crescono”.
Agli hobbit, invece, piacciono le cose che crescono, ci ricorda Tolkien.
Ma per far crescere le cose, occorre pazienza, tempo, cura.
Nulla di immediato, niente di istantaneo. Avere cura, fuggire l’immediatezza, coltivare, farsi una cultura, diffondere una cultura. Tempo. Calma. Pazienza. Apprendere e trasmettere. Vecchia saggezza contadina, in un mondo di metallo. Chiaramente in corsa verso il crack.
L. De Netto