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PONZIO PILATO NON ABITI A BRUXELLES. di G. Sapelli

9 Febbraio 2015
in Articoli

La notizia è di quelle che ripropongono tutta intera la sostanza stessa del patto europeo. La Bce per bocca del suo presidente ha annunziato che da mercoledì 11 non accetterà più titoli greci in garanzia dei prestiti finora concessi alle banche di quel Paese. Ma la vera sostanza della questione è che Mario Draghi, così facendo, ha di fatto accelerato la conclusione del negoziato sul debito avviata dal governo Tsipras con il Consiglio dell’Eurozona. «Io», sembra dire Draghi tra le righe della nota ufficiale, «non posso fare di più di quello che ho fatto ma ribadisco», ecco il senso politico della decisione, «che non si può voltare la testa quando si tratta di vita o di morte». Per questo, pur con tutti i distinguo del caso, non ha esitato a precisare che gli istituti di credito greci possono continuare a finanziarsi presso le banche centrali europee. Del resto, la manovra di Quantitative easing annunciata di recente apriva già la via alla frantumazione delle decisioni monetarie e alla frantumazione della sovranità europea nell’accollare l’80% del rischio alle rispettive banche centrali nazionali. Draghi, insomma, ha ben chiaro dove si deve arrivare ma preferisce che sia la politica a guidare i lavori. Tant’è che gli osservatori più acuti – che non vogliono veder scorrere il sangue, ben sapendo che alla fine ricadrebbe su tutti – a ridosso dell’annuncio della Bce hanno immediatamente invocato un compromesso e chiamato in causa il Fondo salva-Stati, l’European Stability Mechanism (ESM), creato dai governi per intervenire nelle situazioni di crisi grave. Il governo di Atene deve quindi attendere la riunione dei ministri delle Finanze Ue per discutere in quella sede le sue proposte e udire da essi quale sarà il destino della Grecia. A parer mio non vi è soluzione possibile se non accettare le proposte di Alexis Tsipras. Precedenti storici ve ne sono a iosa, e alcuni sono scolpiti negli archivi italici. Penso per esempio al fatto che il complesso delle posizioni monetarie assunte dal governo greco di Syriza ricorda sotto molti aspetti ciò che fece l’Italia dopo il discorso di Pesaro di Benito Mussolini nel 1926, quando vennero annunciate misure dirette alla rivalutazione della lira per superare la recessione post-bellica e aumentare il potere d’acquisto delle classi medie, vera base di massa del regime fascista. Era la cosiddetta Quota 90, livello cui occorreva far giungere il cambio con la sterlina che in quei giorni sostava intorno al 125. Il Regno Unito aveva, con grande spregiudicatezza, deciso il ritorno della parità fissa della sterlina con l’oro e ciò poneva il sistema dei cambi in una situazione non dissimile da quella attuale in Europa, dove la moneta unica genera di fatto gli stessi effetti con pesanti conseguenze deflazionistiche. Il fascismo doveva a ogni costo concludere le trattative con gli Stati Uniti per ottenere i prestiti che avrebbero stabilizzato il regime, di qui la necessità di rafforzare la lira. Il governo Tsipras, soprattutto con la proposta dei “perennials bond”, ossia titoli a rimborso fisso per un tempo indeterminato che perciò evitano rischi di default, mira dunque a rafforzare il valore dell’euro diminuendo il costo della vita a vantaggio del paese in grave difficoltà. La dracma non esiste più, ma possono esistere misure capaci di rafforzare l’euro e quindi diminuire il costo delle importazioni operando per una maggiore attrattività dei titoli di Stato. Si tratta naturalmente di una comparazione. Ma il segreto della comparazione scientificamente valida è comparare fenomeni diversi in condizioni diverse. L’esempio greco offre l’occasione di comprendere che può esservi sempre una via d’uscita anche nelle condizioni più disperate, come quella in cui si trova la Grecia e, non vorremmo, di qui a qualche tempo anche l’Europa. In questo quadro il silenzio della politica è assordante. Il Parlamento europeo non ha fatto sentire la sua voce e pare deciso a non farla sentire, come i Ponzio Pilato di Bruxelles. Che funzione ha? La sua impotenza è drammatica, mentre sarebbe questo il momento per un pronunciamento sulla questione dirimente che la non solvibilità greca solleva, ossia la necessità di riformare le istituzioni europee nel loro complesso. Eppure non si può dire che assist pesanti non siano giunti, basti ricordare le recenti parole di Barack Obama che mettono in guardia dai rischi della mancata solidarietà verso paesi in situazioni difficili. Naturalmente i falchi della Bundesbank hanno già scontato l’uscita della Grecia dall’euro, come quelli di casa nostra che ieri hanno fatto sentire la loro voce. Ma il rifiuto della politica è un atto politico. I tedeschi, timorosi di aprire la via alla loro destra antieuropea di alto lignaggio, non possono non saperlo e non possono sottovalutare la valanga geostrategica, prima che politica, che una decisione simile provocherebbe. Occorre accettare la proposta di Atene, che in sostanza chiede soprattutto tempo per rateizzare il debito e per fare le riforme vere, quali quelle sul fisco e contro la corruzione che potrebbero effettivamente mettere la Grecia sulla via della ripresa. Così non si venderebbero i porti ai cinesi e si limiterebbe l’influenza dei russi che altrimenti potrebbe diventare determinante, avviando il fronte sud della Nato verso una storia tutta nuova. Il governo italiano faccia sentire la sua voce. Potrebbe dover rimpiangere questa assenza.
Giulio Sapelli **

*Identità Europea ringrazia Il Messaggero del 06.02.2015

**Docente di Storia delle Dottrine Economiche all’Università Statale di Milano

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