Stiamo assistendo allo stillicidio delle candidature. Ogni partito, anzi ogni capo partito, sta stilando le proprie liste elettorali, componendone ad una ad una la lista dei nomi da inserire in ordine decrescente così da garantirne l’immediata e certa elezione in uno dei due rami del Parlamento. I più attivi, a dispetto del recente passato, sono il presidente Monti e Pierluigi Bersani: amanti nell’anno di Governo Tecnico, avversari in campagna elettorale ma promessi sposi dopo la sconfitta di Don Rodrigo Berlusconi per peste da carenza di voti. Con la benedizione di Fra Cristoforo Napolitano, che per l’occasione indosserà un saio e una croce invece di un eskimo e una falce e martello. Non sarà di certo il Manzoni a comporre quest’opera, né il Santis a commentarla. Una cosa era l’invasione spagnola del 600, e quella austriaca dell’800, altra quella Tedesca del 2011, sebbene i lanzichenecchi siano presenti in quel libraccio che studiavamo nel fu quinto ginnasio. Il livello è basso, ma ancor più meschino e infelice quello raggiunto da alcuni neo candidati, e neo eletti, perché nel Partito Democratico già è possibile prenotare un posto a sedere sulla tratta divano di casa-poltrona microfonata di Montecitorio o Palazzo Madama, della XVII legislatura che il Presidente della Repubblica inaugurerà a Marzo e che il Popolo “pecorone invigliacchito” ( citando Flavio Bucci nel marchese del Grillo) comporrà il 24 e 25 Febbraio. Mi riferisco a Piero Grasso e Mario Sechi. Ingroia non lo cito perché espostosi già nella culla. Profili di spessore, alto lignaggio. Uomini valevoli, la cui preparazione ha fruttato enormi servigi alla Patria. Il primo come magistrato di lungo corso, il secondo come astro di un giornalismo fuori schema. Che delusione leggere i loro nomi nell’albo del candidati nelle cabine elettorali. Abbandonare i posti di combattimento, fuggire dalla trincea per ripararsi in una guarnigione arroccata sul monte e difesa dalle alte e rinforzate mura della fogna del potere politico. Per quanto mi riguarda è altro tradimento. E ne spiego subito le adduzioni.
Combattere la Mafia, quella “merda” di Peppino Impastato e “fenomeno umano che avrà fine” di Giovanni Falcone, è forse il più grande onore che la Nazione possa offrire ad un cittadino e servitore dello stato. Una missione posta come avanguardia di valori, come orizzonte di luce, come tramonto di un’era e alba di una nuova. Il comune cittadino può farlo con piccoli gesti quotidiani, l’uomo delle istituzioni può farlo per mezzo dell’autorità concessagli dallo stato e dal Popolo. Il potere giudiziario è dai tempi dei francesi del 700, nella divisone dei poteri fondamentali dello Stato Moderno, posto a tutela e salvaguardia della collettività e della comunità. Il magistrato realizza e difende il valore delle leggi, punisce i reati, tutela la parte lesa, garantisce l’ordine e la disciplina. Certo, il magistrato di oggi e quello italiano in particolar modo è infinitamente più politicizzato rispetto a quelli di un tempo, ma nulla toglie che l’alto compito al quale sono chiamati a rispondere sia imprescindibile in uno stato di diritto. E allora, perché abbandonare la Procura Nazionale Antimafia per gettarsi tra le braccia dell’emiciclo parlamentare? Perché abbandonare la propria posizione e tradire i fratelli uccisi da quel sistema politico mafioso che dal dopoguerra in poi ha visto annichilire l’intero panorama sociale nazionale? Perché rintanarsi in difesa quando si andava all’attacco? Perché abbandonare in prima persona la buona battaglia mischiandosi con le infami e torbide acque che circondano il transatlantico? Cadere per un’idea inseguendola e combattendo per essa rappresenta un onore e una virtu’. Caddero Giovanni e Paolo, e come loro Pio, Ninni, Beppe, Rocco, Nino e altri. Chi da poliziotto, chi da giudice, chi da giornalista, chi da parlamentare. Nessuno di loro optò per una scorciatoia puzzolente e infognante. Nessuno si prostrò, nessuno si fece comprare. Furono per questo uccisi e prima ancora lasciati soli e traditi. A tradire oggi l’intero popolo è a pare mio questa candidatura di maniera, di facciata. Una candidatura in odore di salsa smacchiante alla quale il Partito Democratico ci ha sempre abituati nella lunga storia che va dal PCI ai giorni nostri. Magistrati antimafia, sindaci antimafia o presunti tali, vedove di parlamentari antimafia o presunti tali, anzi presunti pali in un caso specifico, vedove di eroi di guerra ecc ecc. Il tutto corroborato ovviamente da alleanze locali discutibilissime se è vero che fino al 28 ottobre 2012 hanno governato con Lombardo e i cuffariani. Il partito di Bassolino e del modello Napoli. Il centrodestra non lo nomino nemmeno perché la candidano direttamente i mafiosi per cui, sarebbero parole sprecate. Il partito delle bandierine, del risiko. Una grottesca messa in scena, una farsa elettorale buona a fare proselitismo in vista delle elezioni e tutto il contrario di tutto durante le legislature. Il giornalista ribelle e giovane che entra a far parte della famiglia dei Tecnocasinisti con scappella mento al centro è una mossa meno grave dal punto di vista morale ma di egual facciata. Fu Mario Sechi a dirci di ribellarci alle Mummie Parlamentari sedute da 30 anni e più sulle seggiole dell’oclocrazia parlamentari. Fu Mario Sechi a dirci di rivoluzionare il paese, fu Mario Sechi a dirci di fare le Primarie per il candidato alla Presidenza del Consiglio, fu Mario Sechi a dirci di ribellarci alla tecno Finanza, fu Mario Sechi a criticare dalla colonne del Tempo Monti, Casini, Fini, Bersani Berlusconi e Alfano. Fu Mario Sechi a dirci di, cito testualmente, “Fottercene” dei pregiudizi altrui e di inseguire i nostri sogni e i nostri progetti. E’ dunque l’ennesima delusione, l’ennesima candela spenta per assenza di ossigeno. L’ennesima penna spuntata. L’ennesima lingua allacciata se non addirittura tagliata. Se i migliori si arrendono, se gli imparziali diventano partigiani nel senso scientifico del termine, se ci si inginocchia in un mondo di rovine, che futuro creeremo per le nuove generazioni’ Che esempio daremo loro? Gli esempi di Falcone e Borsellino, così come quello di Beppe Alfano non vanno dispersi nel limbo della memoria a orologeria con cadenza d’anniversario. Di idee politiche diverse l’uno dall’atro, radicali, dure, forti ma sempre valevoli ed alte. Mai mischiarono o invertirono la piramide dei valori con quella del dovere professionale e morale. Mai abbandonarono l’avamposto di libertà per il quale erano nati.
Adoro sempre creare parallelismi mitologici, e allora traggo spunto dal sempre eterno aedo cieco e forse mai vissuto Omero: è Ulisse che accetta la proposta della ninfa Calipso e opta per una vita eterna e immortale, abbandonando il decomporsi delle carni, il cedimento dei muscoli, la diminuzione della forza e della virilità, il grigio colore dei capelli, il desiderio dell’avventura. Rinuncia a sfidare il mare e gli dei per tornare a casa. E’ Ulisse che, liberatosi dalle corde dell’albero maestro della nave al quale si era fatto legare, si getta in mare seguendo il meraviglioso canto, per raggiungere le scogliere delle coste campane e farsi divorare inconsapevolmente dalle sirene ( nello specifico però la consapevolezza c’è eccome). E’ la debolezza dell’uomo che da eroe diventa ilota. E’ la fine dell’avventura, del viaggio, della sfida al cielo. E’ la vittoria degli dei. E’ la nostra sconfitta.
Dario Stefano Lioi