Allora è deciso. Il governo ha messo il punto fermo a chiacchiere e illazioni. Nel 2013 sulla prima casa non si pagheranno né la prima né la seconda rata dell’IMU. Esultanza quasi generale con le eccezioni del capitano confindustriale Squinzi e della sindacalista rossa Camusso.
Peccato si tratti di un gioco di specchi o, più probabilmente di un trappolone per allocchi. E non perché il denaro occorrente per la copertura del buco nelle casse pubbliche conseguente al mancato incasso di parte dell’IMU potesse essere più utilmente usato in altri campi, come averebbero voluto, appunto, Squinzi e Camusso. In realtà è possibile che un intervento economico-finanziario riesca più fruttuoso in un determinato settore che in un altro, ma, esattamente come l’uomo senza aggettivi, anche l’homo “oeconomicus” va considerato nella sua interezza, senza suddividerlo in lavoratore, proprietario di case, titolare di rendite finanziarie. Nella grande maggioranza dei casi (particolarmente elevata in Italia) il lavoratore o il pensionato sono anche proprietari di case o, se si preferisce, il proprietario di case è anche lavoratore o pensionato, e perfino percettore di rendite finanziarie (in pratica gli interessi provenienti da investimenti in obbligazioni o in Btp e simili), che, al contrario di quanto potrebbe sembrare dalle chiacchiere dei tassatori, non sono affatto appannaggio dei padroni delle ferriere (ed è per questo che interessano al fisco, perfettamente consapevole che il grosso delle tasse viene dal poco posseduto da molti e non dal molto posseduto da pochi).
Ciò non toglie che la trappola stia proprio nella ricerca della copertura. Data l’unitarietà dell’homo oecomincus (o anche, se si preferisce, l’impossibilità di fare, sia pure solo fiscalmente, il cittadino a fette) l’abolizione dell’Imu avrebbe comportato un beneficio vero e non solo d’immagine e segnato un passo indietro rispetto al continuo lievitare del carico fiscale se la copertura la si fosse trovata con quel famoso taglio alla spesa pubblica del quale finora si sono viste solo scarse e poco significative tracce.
A quanto pare si batte invece una strada diversa. Quella dell’incremento di altre imposte, come – si dice – una maggiore tassazione delle rendite finanziarie, per cui ciò che l’ homo oeconomicus guadagna da un lato lo perde dall’altro. Pazienza se rimanesse almeno un margine, un residuo attivo, e qualcuno può pensare che sia così. Ma anche in questo caso è solo apparenza. Il risparmio anche quando c’è (in effetti potrebbe esserci se il cittadino, lavoratore o pensionato, sia proprietario della propria abitazione, ma non goda, né tanto né poco, di rendite finanziarie) è sempre e soltanto “una tantum”, limitato cioè al corrente anno 2013. Dall’anno prossimo anche la prima casa sarà nuovamente sottoposta ad una forma di tassazione che porterà un nome diverso, ma avrà comunque il dna dell’Imu e di altre imposte, come quella per la raccolta dei rifiuti, che verranno accorpate.
Ora un’ annosa esperienza insegna che in Italia, felice paese dove, come diceva il ministro Visco, le tasse sono belle, in materia fiscale il risultato dell’accorpamento è sempre superiore alla somma degli addendi. Molti esperti qualificati sostengono che anche in questo caso sarà così. Il governo invece nega. Dal momento che il duo Letta-Alfano è più simpatico di molti predecessori, diamogli credito e ammettiamo che abbia ragione il governo. Resta il fatto che il beneficio del mancato pagamento di due rate Imu è comunque circoscritto al 2013 mentre l’aumento delle aliquote introdotto con la giustificazione della copertura (e, naturalmente, della vigile Europa) rimarrà, c’è da giurarlo, “sine die”,.
Viene da dire “passata la festa gabbato lo santo”. Sempre che la festa ci sia stata.
Francesco Mario Agnoli