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LA GUERRA DI SECESSIONE AMERICANA. A CENTOCINQUANTA ANNI DAL PRIMO CONFLITTO “MODERNO”. di Nicolò Dal Grande

1 Ottobre 2015
in Articoli

Dave Diner, nel suo interessante testo Raccontare il Novecento, definisce la guerra civile come uno scontro fratricida tra due visioni ideologiche del mondo, il più terribile dei confronti, dove il vincitore non si limita ad imporre una resa incondizionata dal sapore di sottomissione, ma tenta la distruzione totale dell’avversario, imponendo una “damnatio memoriae”. Numerosi nella storia gli esempi, tra i quali non si possono non citare le interpretazioni di Ernst Nolte relative ai due conflitti mondiali del XX° secolo, analizzati come un unico, grande, conflitto civile europeo. Raccontare le vicende di un conflitto civile non è mai semplice, perché inevitabilmente si rischia di trapelare possibili “simpatie” verso l’una o l’altra parte dei contendenti, un rischio serio per chi pratica il mestiere dello “storico”, ma contemporaneamente rappresenta spesso un campo dove trarre interessanti spunti di analisi, confronto e paragone. Ne è un caso esemplare la storia del conflitto civile americano, del quale si commemorano i centocinquant’anni dalla conclusione.
Precursore dei due conflitti mondiali, la Guerra civile americana (1861-1865), meglio nota come “Guerra di secessione”, rappresenta uno degli avvenimenti più importanti dell’età contemporanea. Poco studiata sui libri di scuola italiani, meriterebbe in effetti un più ampio approfondimento; di fatti il conflitto presenta numerosi spunti di riflessione che inducono a una lettura diversa della storia americana ed europea.
Quando pensiamo al primo conflitto americano immediatamente ci balzano agli occhi le immagini della cinematografia statunitense del secondo dopo guerra oppure le splendide pagine di Margaret Mitchell nel suo Via col Vento, capolavoro della letteratura mondiale; capolavori che pongono in luce diverse letture del conflitto, sottolineando le visioni di entrambi i contendenti con tutti i “sé” i “forse”. Tuttavia un’approfondita analisi storica pone in luce un’interessante spunto, che porta a considerare la guerra di secessione come precorritrice dei grandi conflitti mondiali del secolo successivo. Un simile confronto è tutt’altro che azzardato ed ha un fondo di concreta correttezza.
La Guerra civile americana è stato il primo grande conflitto “moderno”, da porre in questo sullo stesso piano sia della Grande Guerra che della Seconda Guerra Mondiale, che possiamo tranquillamente definire come  Guerra dei Trent’anni (1915-1945); lo scontro tra “nordisti” e “sudisti” si collega di diritto sulla scia interpretativa delle due guerre mondiali, in primis per l’interpretazione ideologica del conflitto in sé.
Ebbe origine per una differente concezione statuale tra gli Stati del nord e quelli del sud, sia sul piano economico, con il nord legato all’industrializzazione e all’allora dirompente economia protezionista contro la società fondamentalmente agraria e liberoscambista del sud, sia su quello politico, con i primi  volti ad un maggiore accentramento del potere politico a dispetto dei secondi, tendenti più ad una visione confederativa e autonomista. Il mito che vede nello scoppio della guerra la volontà dell’Unione di abolire la schiavitù degli afro-americani contro la volontà di mantenerla della neonata Confederazione, fu solo una delle cause del conflitto, che trovava la vere ragioni nella volontà nordista di salvare l’unità del paese e quella sudista di preservare l’autonomia. Se è vero che l’ideologia “abolizionista” fosse sinceramente sentita da parte di alcune associazioni che la promuovevano con entusiasmo, è altrettanto vero che contemporaneamente fosse esaltata per pura propaganda al fine di presentare il conflitto come uno scontro tra il “bene” identificabile nell’Unione e il “male” incarnato nella Confederazione. Questo punto di contatto lega direttamente lo scontro americano ai conflitti del Novecento, dove la propaganda di guerra giocò sempre – e gioca tuttora – un ruolo di primissimo piano nel condizionare l’opinione pubblica, sia nel sostegno della propria causa sia nella “demonizzazione” della parte avversa. Fu così durante i conflitti mondiali e in tutti gli scontri contemporanei, dal Vietnam all’Iraq, gettando un velo ideologico sulle reali cause dei conflitti novecenteschi.
La conseguente vittoria dell’Unione ha comportato nella mentalità statunitense il radicamento di questo concetto di “bene” contro il “male”, tanto che i seguenti interventi armati nella storia da parte statunitense avranno sempre un’etichetta di guerra per la libertà, dalla guerra del ’14-’18 sino ai giorni nostri; in questo un grande peso va addebitato all’eredità della Guerra di secessione.
Non solo. Il conflitto civile americano si collega ai seguenti scontri mondiali per l’utilizzo delle cosiddette “armi moderne”; è qui

La U.S. Gunboat Cairo, una delle prime corazzate nordiste.

che i campi di battaglia vedono l’esordio delle prime mitragliatrici, delle prime corazzate e addirittura dei primi prototipi di sottomarino; l’impatto fu devastante: sebbene utilizzate con minor frequenza rispetto i conflitti futuri, le innovazioni introdotte resero la guerra civile una delle più sanguinose della storia, con quasi 800.000 morti. In questo non solo precorse le devastanti campagne militari seguenti, ma ne fu un importante monito, purtroppo non ascoltato dalle potenze mondiali, che mezzo secolo più tardi avrebbero incendiato l’Europa.Un conflitto lungo e doloroso, che ebbe un prosieguo nella successiva “era della ricostruzione”, la fase storica seguente la guerra che comportò la reintegrazione degli Stati confederati nell’Unione; una fase tutt’altro che semplice, caratterizzata da una vera e propria occupazione militare nordista, connessa ad un feroce astio della componente civile del sud che solo anni dopo si sarebbe conclusa con una riappacificazione nazionale; una riappacificazione che escludeva l’elemento afro-americano, strumento di propaganda ideologico negli anni dello scontro, che in cambio dell’abolizione della schiavitù subiva l’onta di una discriminazione razziale con le leggi segregative “Jim Crow”, rimaste in vigore dal 1877 al 1965, in un contesto di ipocrisia che caratterizzò sovente le grandi decisioni nazionali ed internazionali delle cosiddette potenze, durante e dopo i conflitti mondiali nel corso di quel quel moderno e tormentato secolo che fu il Novecento.

Nicolò Dal Grande

 

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