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Il Papa: don Nicola Bux, rinuncia è sua croce ma indirizza riforma Chiesa-Intervista a Don Nicola Bux

18 Febbraio 2013
in Articoli, Rassegna Stampa

Napoli, 15 feb – ”La decisione di Benedetto XVI di rinunciare al ministero petrino non e’ una ‘discesa dalla croce’. E’, piuttosto, il gesto di chi, sull’esempio di Gesu’ che spoglio’ se stesso, accoglie la croce dell’eta’ avanzata, che toglie le forze e rende ancor piu’ impotente. Anche cosi’ mette in pratica l’essere ‘servo dei servi di Dio”’. Don Nicola Bux non ha alcun dubbio sulla corretta interpretazione della scelta di Benedetto XVI che il 28 febbraio lascera’ la guida della Chiesa Cattolica. E vede, nel gesto del Papa qualcosa in piu’: ”nella rinuncia si puo’ intravedere quasi un atto di indirizzo per la Chiesa e il futuro Papa a continuare la riforma della Chiesa”.

A pochi giorni dalla rinuncia di papa Ratzinger, l’Asca ha chiesto al sacerdote amico di Benedetto XVI di esprimere il suo personale pensiero. Dell’arcidiocesi di Bari, Nicola Bux ha studiato e insegnato a Gerusalemme e Roma. Professore di liturgia orientale e di teologia dei sacramenti nella Facolta’ Teologica Pugliese, e’ consulente della rivista teologica internazionale ”Communio”. Benedetto XVI lo ha nominato perito ai sinodi dei vescovi sull’eucaristia del 2005 e sul Medio Oriente cinque anni dopo.

Teologo, tra i piu’ vicini a Benedetto XVI soprattutto in materia liturgica, Don Nicola Bux ha conosciuto Joseph Ratzinger intorno alla meta’ degli anni ’80, quando l’attuale Pontefice e’ giunto a Roma da Monaco di Baviera per svolgere il ruolo di Prefetto della Dottrina della Fede. Racconta Don Bux ”in quel periodo ho partecipato agli Esercizi spirituali che Ratzinger teneva ai sacerdoti di Comunione e Liberazione”.

D. Che cosa l’ha colpita di lui, quali le affinita’ intellettuali e teologiche fra di voi?.

R – ”Mi hanno colpito lo spirito di Fede e il realismo; il suo ‘realismo’ nel guardare la realta’ della Chiesa e quella del mondo. Mi hanno colpito queste cose e anche il suo modo di affrontare i problemi in maniera ragionevole e non emotiva, con un sentire che e’ ben lontano sia da quello intriso di ‘ottimismo romantico’ – come lo definisce lo stesso Benedetto XVI – sia dal ‘catastrofismo’. Che poi e’ il modo con cui un uomo di Fede deve affrontare la vita”.

D. Come interpreta la scelta di rinuncia fatta da Benedetto XVI?.

R. – ”Innanzitutto, per capire il gesto bisogna mettersi nell’ottica della Fede, non in quella mondana, che sempre tende a infeudare anche la Chiesa. Si sono date varie interpretazioni del gesto: dalla desacralizzazione del papato alla rivoluzione del potere ecclesiastico, dalla democratizzazione dell’autorita’ alla ferita portata al corpo ecclesiale, persino scambiando la richiesta di perdono per i suoi difetti, con la messa in discussione dell’infallibilita’ pontificia… Ma, le rinunce di Benedetto IX, Celestino V e Gregorio XII hanno prodotto tutto cio’? Ratzinger stesso ha approfondito nei suoi studi che il primato petrino ha una struttura martirologica: la responsabilita’ del Vescovo di Roma e’ assolutamente personale e non si puo’ diluire nella collegialita’ episcopale, sebbene interagisca sempre con essa. E’ mirabile la circostanza del decreto di canonizzazione dei Martiri d’Otranto”.

D. La responsabilita’ di cui parla e’ connessa alla ‘coscienza’ cui il Papa ha sempre fatto riferimento specialmente nelle sue battaglie contro il relativismo contemporaneo?.

R. – ”Si’. Responsabilita’ intesa in questo senso come la risposta personale al Signore. Esiste un limite invalicabile della coscienza, ed esiste non solo per i credenti ma per tutti gli uomini. Ricorda il Grillo parlante? Pinocchio poteva anche far finta che non ci fosse e infine prenderlo a martellate, ma continuava a parlare. Benedetto XVI ha approfondito questo tema anche richiamando ‘L’elogio della coscienza’ del Beato John Henry Newman, che nella lettera al duca di Norfolk propone un brindisi alla coscienza e al Papa.

Il ministero petrino in fin dei conti e’ l’emergenza ultima dell’appello alla coscienza di ogni uomo.

Nel discorso in latino pronunciato per annunciare al mondo la sua decisione, il Santo Padre dice chiaramente: ‘ho interrogato ripetutamente la mia coscienza davanti a Dio’.

Rispetto al relativismo contemporaneo che riduce la coscienza al fare quel che si vuole, per noi e’ la capacita’ di distinguere fra bene e male, fra vero e falso. E’ la ‘voce di Dio’. L’unico baluardo per preservare la dignita’ dell’uomo nel rapporto con il mondo”.

D. Il Papa si e’ interrogato a lungo e, dunque, con grande sofferenza spirituale. Per questo lei parla di ”struttura martirologica del primato petrino”?.

R. – ”Si’. Il ministero petrino ha in se’ una struttura martirologica che permette di interrogarsi continuamente, in coscienza, se quello che si e’ e quello che si fa siano adeguati a quanto e’ insito del ministero di Pontefice Romano. Un tale lavoro quotidiano puo’ diventare martirio.

Questo e’ il vero ‘martirio’. Sia chiaro, il compito di interrogarsi e’ di ogni essere umano. Anche il padre di famiglia deve chiedere a se’ stesso se si comporta bene per il bene dei suoi cari. Si immagini cosa vuol dire cio’ per un Successore di Pietro! E poi c’e’ una cosa di cui bisogna rendersi conto…”.

D. Quale?.

R. – ”Credo fermamente che quel che conta nel realismo di questo Papa sia il non considerare come personale proprieta’ il ministero, ma intenderlo come ‘servizio’ a cui e’ stato chiamato, per il quale si ritiene ‘servo inutile’ cosi’ come ha detto lo stesso Gesu’. Cio’ che conta e’ la successione apostolica sempre garantita dallo Spirito Santo.

Il Papa, ogni Papa, e’ un ‘anello’ nella ‘catena’ della successione apostolica, da Pietro alla fine dei tempi, quando il Signore vorra’. Tenendo presente questo, allora si comprende molto bene che sulla successione vegli costantemente il Signore”.

D. Il Papa e’ anziano, il fisico provato. Quanto possono aver inciso le sue condizioni fisiche sulla scelta fatta?.

R. – ”Hanno inciso. E’ vero che il benessere fisico non e’ mai stato un criterio di governo della Chiesa. Ce lo ha mostrato Giovanni Paolo II. Ma con il venir meno della salute diminuiscono le capacita’ di governo della Chiesa che, pur essendo compito del Papa, verrebbe esercitata da altri a lui prossimi. Se il Santo Padre avesse ragionato cosi’ sarebbe venuto meno quel realismo di cui e’ sempre stato capace”.

D. Lei vuol dire che l’interrogare la propria coscienza davanti a Dio e’ stato un modo di chiedersi se e quanto fosse in grado di governare ancora la Chiesa in modo adeguato, soprattutto rispetto al relativismo che Benedetto XVI ha combattuto?.

R. – ”Il relativismo ha generato una grande confusione, anche nella Chiesa a livello di dottrina e di pastorale.

Secondo me la rinuncia del Papa potrebbe essere intesa come un atto di governo, un invito a riflettere sulle divisioni, come ha accennato nell’omelia del Mercoledi’ delle Ceneri, e sulla confusione provocata da idee non cattoliche nella teologia. Ha fatto, si direbbe, un passo indietro. Un passo indietro compiuto affinche’ la Chiesa possa fare due passi in avanti”.

D. In sostanza ha pensato al bene della Chiesa, come d’altronde ha detto lunedi’ scorso, e non a se’ stesso.

R. – ”Rimanere nascosto al mondo, come il Signore dopo l’Ascensione, e’ il modo per essere ancora piu’ presente alla Chiesa. Lui e’ e rimarra’ Benedetto XVI nella storia della Chiesa, pur avendo rinunciato ad esercitarne il munus fino alla morte”.

D. In molti, a cominciare da persone vicine a Karol Woityla, hanno letto questa rinuncia come una ‘discesa dalla Croce’.

R. – ”Lei ha visto la foto che ha fatto il giro del mondo? Quella della cupola di San Pietro con il fulmine? Si e’ detto addirittura che quello era un segno di collera divina per l’atto del Santo Padre. E se lo si interpretasse come un segno diretto a tutti noi? Cosi’ come il terremoto e il buio sul Golgota non erano diretti al Figlio di Dio ma agli uomini che non lo avevano riconosciuto come tale”.

D. Cosa intende per riforma della Chiesa?.

R. – ”Il concetto di riforma non va inteso nell’accezione protestante oppure politica ma in quella etimologica di ‘ridare forma’, rimettere in forma. Oggi questo vuol dire correggere nella Chiesa le deformazioni della liturgia che, come il Santo Padre piu’ volte ha osservato, sono giunte al limite del sopportabile; cosi’ pure a livello morale… e in questo senso il gesto del Papa e’ un atto di efficace ammonimento”.

D. Governare oggi la Chiesa Cattolica vuol dire…?.

R. – ”Vuol dire superare le divisioni interne provocate soprattutto dai conflitti, anche virulenti, su interpretazioni post conciliari del Vaticano II. Benedetto XVI ha lanciato messaggi precisi in direzione della continuita’ nel rapporto fra tradizione e innovazione, un messaggio che non puo’ essere in alcun modo disatteso.

L’appello ai cattolici e’ di serrare i ranghi per superare unilateralita’ e faziosita”’.

D. Benedetto XVI si e’ speso molto per l’unita’ della chiesa.

Ha revocato la scomunica alla Fraternita’ San Pio X, fondata da Monsignor Marcel Lefebvre, che pero’ non e’ stata riammessa a pieno titolo nella Chiesa romana.

R. – ”Bisogna continuare su questa strada. Anche in questo il Santo Padre e’ stato molto, molto paziente nel cercare l’unita’: meta che si costruisce giorno per giorno. E’ stato e rimane un esempio di carita’ paziente verso tutti, come dice l’Apostolo, e per il futuro Papa. Finche’ non si formi un solo ovile sotto un solo pastore”.

D. Chi pensa che possa essere il suo successore? Sara’ un Papa italiano? Africano?.

R. – ”Non mi sento di fare alcuna previsione. Quel che e’ certo e’ che, come lo stesso Ratzinger ha indicato, sara’ persona dotata di energia nel portare avanti la barca di Pietro. Un’energia non solo fisica e psicologica ma spirituale che viene dalla Fede. Io credo sia poco importante chiedersi chi verra’ dopo di lui. Nel Conclave c’e’ sempre qualcosa che va al di la’ delle previsioni umane. Se i cardinali si lasceranno guidare dalla fede, lo Spirito Santo fara’ la scelta piu’ adeguata. Il Papa non e’ il ‘padrone’ della Chiesa ma colui che in prima persona deve rendere conto a Gesu’ Cristo del bene della Chiesa intera”.

D. C’e’ chi ha detto che la rinuncia del Pontefice sia stata un gesto di umilta’.

R. – ”Bisogna intendere ‘umilta” nel senso etimologico del termine che viene da humus, terra. Umile e’ colui che e’ ben ancorato alla terra, insomma, un realista. Siamo tutti chiamati ad essere umili. Nella fase finale di molti pontificati, e’ stata diffusa la mormorazione: il Papa non governa piu’, lo fa il suo entourage… Ecco, Benedetto XVI quando si e’ accorto di non poter piu’ esercitare il ministero di Supremo Pastore della Chiesa universale ha rinunciato in piena coscienza e liberta’ per il bene della Chiesa cattolica”.

dqu/gc

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