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IL FUOCO, IL SOLE, IL SIMBOLO: PER RISCOPRIRE L’IMPORTANZA DEL CAMINETTO. di Luca De Netto

22 Ottobre 2012
in Articoli, Rassegna Stampa

Con l’arrivo della Festa Cattolica di Ognissanti  – coincidente, di fatto, con l’antica festività pagana di Samhain – l’autunno, almeno dal punto di vista astronomico, è al suo apice. Da ciò, si comprende come non sia stato un caso il fatto che antiche culture abbiano scelto proprio la notte tra il 31 ottobre ed il 1° novembre al fine di celebrare, attorno a grandi falò, insieme all’ultimo raccolto, la natura morente ed il prevalere del freddo e del buio. Del resto, specularmente, tra il 30 aprile ed il 1° maggio, i fuochi di Belthane segnalavano l’apogeo della primavera e, quindi, l’annuncio dell’estate.

Fuochi, appunto. Perché il fuoco, per le culture tradizionali, è stato da sempre l’elemento che ha caratterizzato i momenti salienti dell’anno, dai solstizi agli equinozi. E questo, per una ragione semplicissima: il fuoco scalda, protegge, difende, illumina, purifica. Ma il fuoco, proprio per queste sue caratteristiche, diventa, nel mondo antico, il surrogato del Sole, l’astro per eccellenza, fonte di vita e di sostentamento, perno cosmico del cerchio sacro dell’anno che sempre ritorna.

E l’accensione dei fuochi nelle notti consacrate dell’anno, era un atto non solo utile alla sopravvivenza, ma un gesto atto a ricordare a tutta la comunità l’eterno legame con il sole, con la sua luce e con il suo calore.

Tutto era in funzione del sole: l’anno, il giorno, il tempo. E si viveva aspettando l’estate, stagione dell’abbondanza, per raccogliere i frutti e per vivere immersi nella luce e nel tepore solare.

Non è un caso che il Cristianesimo – unico e vero erede di tutta la tradizione antica – abbia modellato il suo anno liturgico sui ritmi solari, essendo avvenuta la nascita di Cristo, Sole Nuovo, nel giorno del solstizio d’inverno, quella di Giovanni, il sole minore che “deve diminuire affinché altri cresca”, in quello d’estate, il concepimento di Gesù nell’equinozio di primavera, e quello di Giovanni in quello d’autunno.[1]

Ma anche la Pasqua, festa di matrice prettamente ebraica, e quindi legata al calendario lunare, tipico delle popolazioni semitiche, si colora di elementi solari sin dall’ingresso di Gesù a Gerusalemme nella Domenica delle Palme,[2] attraversando il Messia la Città da est verso ovest – come il moto apparente del sole – a cavallo di un mulo, come venivano rappresentate le antiche divinità solari. Del resto, il colore delle vesti del Cristo durante le drammatiche ore della Passione sono rosse, come è rosso il sole morente – eclissatosi realmente nel momento tragico del trapasso – per poi invece splendere di un bianco luminoso ed accecante con la Resurrezione, com’è bianca la Vera Luce, perché al suo massimo e completa di tutti i colori.

L’elenco, volendo,  potrebbe continuare dissertando sulla simbologia del cero pasquale, per poi passare alla domenica, sun-day e son-tag, “giorno del Sole” ancora oggi nelle lingue anglo-germaniche, o alla liturgia cattolica per eccellenza, con la preghiera e la celebrazione della Messa rivolte ad orientem, ad est, verso il sole che sorge.[3]

Ma ciò che importa sottolineare in questa sede, è semplicemente il rilievo di come molto di ciò si sia perso, e in che modo e con quanta forza la modernità abbia allontanato le genti dalla terra, e – conseguentemente – dal sole.

L’illuminazione artificiale, le serre, persino le lampade solari, hanno completamente alienato l’uomo moderno dai ritmi della Natura, dalla bellezza del sole e della luce, e, quindi, dalla Bellezza in generale. E, parallelamente, a dimenticare il fuoco. Esso, infatti, non brucia più nei caminetti di molte case: attorno ad esso non si raccolgono più le famiglie, così come accendere un fuoco per scaldarsi  è diventato un lusso.

Infatti oggi per riscaldarsi durante l’inverno – quando si hanno delle pareti domestiche a disposizione – o si deve essere nelle condizioni di poter acquistare la legna, o, in alternativa, il gas o altro combustibile per un po’ di caldo fittizio, che, comunque, non ha quel fascino e quel potere quasi magico del falò crepitante.

Anticamente, invece, il diritto di legnare era un diritto consuetudinario che a nessuno veniva in mente di abolire, ma anzi re, imperatori, e grandi signori feudali vigilavano al fine di garantire a tutti la possibilità di far legna da ardere. Sicché chiunque, poveri o ricchi, d’inverno potevano accendere liberamente un fuoco, dopo essersi procurati gratuitamente la legna, o vivere, comunque, intorno ad un fuoco acceso, magari in comune.

Non sta a noi esprimere giudizi di merito, mettendoci cioè sul medesimo piano di coloro che, con estrema arroganza, asseriscono dogmaticamente che il presente è sempre più progredito e più sviluppato del passato, e che questo, di converso, sia stato più incivile… Ma una cosa è certa: non solo nell’antichità e nel Medioevo, ma persino fino all’avvento dell’età post-moderna, era diffusa (la possibilità e) l’abitudine di scaldarsi e festeggiare in compagnia intorno ad un fuoco. Fuoco-vita, fuoco- fuoco-famiglia, fuoco-comunità: il fuoco è σύμβολον (súmbolon), “simbolo”, ossia “mette insieme”.

Oggi, al contrario, sono sempre più coloro costretti a vivere al freddo, o peggio su una panchina di un parco. D’altronde, chi si scalda materialmente, è costretto però ad abbracciare un orribile termosifone di metallo. Non c’è più fuoco, non c’è σύμβολον, non si mette più insieme.

Ed è noto a tutti che, tra i rischi della scomparsa del súmbolon, vi è anche quello dell’emergere del suo contrario, il Διάβολον (diábolon): “ciò che divide, separa, allontana”…

 

 

 

NOTE

 

[1] Cfr. sul punto per approfondire F. CARDINI, Il libro delle feste, Il Cerchio, Rimini 2004; sulla storicità delle date di nascita di Gesù e del Battista, M. LOCONSOLE, Quando è nato Gesù?, San Paolo, Roma 2011

 

[2] Matteo 21,1,11; Marco 11,1-10; Luca 19,29-44; Giovanni 12,12-15

 

[3] Già Tertulliano, grandissimo apologeta cristiano, affermava nel III sec. d.C.: “Altri… ritengono che il Dio cristiano sia il sole, perché è un fatto notorio che noi preghiamo orientati verso il sole che sorge e che nel giorno del sole ci diamo alla gioia, a dir vero per una ragione del tutto diversa dall’adorazione del sole…”

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