La storia delle acque mediterranee, collage di più mari tra loro connessi come afferma nella sua opera principale Civiltà ed Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II il grande storico Fernand Braudel, è densa di memoria e di avventura, di vita e di morte; se le onde di quello che rappresenta una delle aree geopolitiche più importanti, vissute e protagoniste di quell’eccezionale avventura che è la storia dell’umanità potessero parlare, racconterebbero di come una giovane comunità di cultura latina, scacciata dalla terra ferma, trovasse riparo nel grembo della laguna veneta; di come questa fratellanza di uomini riuscisse a domarla e a farne la propria patria; di come questa patria si fondesse con le acque circostanti e da questa unione sorgesse il più fiero degli antichi Stati italiani, la “Dominante”, che pose le fondamenta in quel mare, l’Adriatico, che per le gesta della sua grandezza sarebbe stato ribattezzato il “Golfo di Venezia”.
La storia della Repubblica Serenissima, una delle più affascinanti d’Italia, d’Europa e del mondo, fonda le proprie radici nelle acque adriatiche.
Sorta nella laguna delle genti romane e venete, in fuga dall’invasione unna del V secolo d.C. – 451 la data “mitica” di fondazione -, estrema propaggine nord – occidentale dell’Impero Romano d’Oriente, Venezia, seppur fra le ultime città ad essere erette su quelle isole custodite e protette dalla barriera naturale delle acque lagunari, sin dall’origine ebbe nel commercio marittimo la propria vocazione. Progressivamente distaccatosi da Costantinopoli e dal governo bizantino, incapace di tutelare i domini più lontani durante la grande crisi del VII e VIII secolo dovuta agli attacchi dell’Islam e dei popoli slavi, il Ducato veneziano divenne “de facto” autonomo nel 967 d.C., quando secondo la tradizione fu eletto il primo “doge” – duca -, Paoluccio Anafesto.
Negli anni il ducato crebbe in prestigio economico, con i commerci marittimi e fluviali, e religiosi, grazie allo spostamento della sede patriarcale da Grado a Venezia (XI sec.) e alla conservazione delle spoglie di San Marco Evangelista, trafugate nel IX secolo ad Alessandria d’Egitto. Indipendente da Bisanzio, la città non perse mai contatto con l’oriente, intensificando i rapporti commerciali e la propria influenza su tutto l’Adriatico. La svolta avvenne nel 1003, quando il doge Pietro II Orseolo, implorato dalle città latine delle coste e delle isole istriano-dalmate minacciate dai pirati slavi “narentani”, prese la via del mare con la flotta sotto l’insegna del leone alato, distruggendo la minaccia nemica ed ottenedo la “dedizione” delle città sulla costa orientale dell’Adriatico. Venezia gettava le fondamenta della sua straordinaria espansione territoriale ed economica, accompagnata parallelamente dall’evoluzione politica interna che, nell’arco di tre secoli, l’avrebbe portata a divenire da ducato a quella celeberrima Repubblica, sì oligarchica e aristocratica, ma fra gli Stati più stabili, fieri e potenti d’Europa. Dal primo “sposalizio del mar”, la cerimonia con cui a Venezia si celebrerà per secoli la vittoriosa spedizione del doge Orseolo in Dalmazia, sarebbero occorsi tre secoli per imporsi politicamente nell’Adriatico, sfidando le ambizioni dei potenti vicini croati e ungheresi prima, normanni e bizantini poi; tre secoli dove Venezia, tra vittorie strepitose e sconfitte cocenti seppe far sua l’Istria, la Dalmazia e ad affacciarsi prepotentemente nell’Egeo e divenendo la regina del mare Adriatico e quest’ultimo il suo golfo, ganglio vitale delle rotte commerciali che da oriente rifornivano di merci pregiate – su tutte le spezie – l’Europa, partendo dai porti mediorientali, attraversando le isole egee e ioniche, passando per quelle dalmate e giungendo, infine, nella laguna veneta, da cui ripartiva per via fluviale e terrestre per giungere alle fiere del nord e dell’occidente europeo.
Nel frattempo l’ombra del leone alato si era distesa sempre più a levante sulla scia della grande epopea militare, economica ed umana che furono le crociate; tra vittorie e sconfitte, avanzate e ritirate, i mercanti veneziani, al pari di quelli genovesi, amalfitani, pisani, ragusani e di tutte quelle città indipendenti e votate al commercio che, nell’Ottocento, sarebbero state identificate col nome di “repubbliche marinare”, crearono emporii e fondaci nelle terre mediorientali, crocevie delle grandi arterie economiche e mercantili del mondo conosciuto. Non mancarono le difficoltà e le guerre, sia con i legittimi regnanti di quelle aree, fossero cristiani cattolici, ortodossi o islamici che con le potenze marinare antagoniste. Non mancarono le lotte con l’antica madrepatria, Costantinopoli, abbattuta nel 1204 dalla quarta crociata finanziata dalla stessa Serenissima che, dalla conquista, vide sorgere l’incredibile estensione del suo Impero coloniale che, salle isole egee e ioniche alle città fortezza delle coste peloponnesiache e attiche, dall’Eubea a Creta e – dal 1489 – sino alla gemma dei mari orientali, Cipro, avrebbero costituito, col “Golfo di Venezia” lo Stato da Mar della Serenissima che, unito all’antico “Dogato” della laguna e alla successiva creazione dello Stato di Terraferma, edificato nel XV secolo a guardia della laguna e dei commerci continentali, avrebbero costituito il territorio della Repubblica di Venezia, ponte tra oriente greco e islamico ed occidente latino e cattolico, arteria di scambi non solo mercantili ma soprattutto culturali.
Venezia vinceva sui mari; vinceva militarmente le resistenze dei rivali pisani e normanni; controllava – senza riuscire a spegnerle mai – le resistenze e le velleità delle altre altre due Repubbliche “marinare”, le alleate Ancona e Ragusa, che mai si rassegnarono a considerare “veneziano” quel mare che era anche loro e che allora non era fatto per dividere due sponde ma per unirle; trionfava nell’estenuante sfida con l’acerrima nemica, Genova la “Superba”, l’unica che seppe violare l’intimo della laguna nel millennio e più di dominio marciano. All’alba del 1453, anno decisivo per la storia veneziana ed europea che vide la caduta del millenario Impero romano d’oriente per mano dell’emergente potenza ottomana, la Serenissima controllava un dominio che si estendeva dalle rive del fiume Adda in Lombardia alle verdi acque della baia di Suda a Creta, varcando gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo con i propri emporii per terminare nelle coste del Mar Nero.
Il sorgere della mezzaluna ottomana a oriente e delle grandi potenze continentali – Francia e Spagna su tutte – a occidente segnarono l’inizio di una nuova era per l’Italia e per la Repubblica di Venezia, odiata e ammirata da tutti. Sfidata militarmente da quasi tutte le potenze straniere e italiane, Papato incluso, la Repubblica accettò la lotta per la difesa della propria indipendenza e sopravvivenza in quell’esaltante e drammatica tempesta di conflitti armati che fu il XVI secolo, uscendone ferita ma libera e indipendente, unico fra gli Stati italiani a non subire ingerenze straniere.
Fu contemporaneamente il baluardo della Cristianità contro l’espansione dell’Islam ottomano, affrontando sovente da sola le flotte e le armate turche che sembravano oceani senza fine; vide lentamente il proprio impero levantino crollare nell’arco dei sette conflitti che dal 1463 al 1718 posero il leone di San Marco contrapposto alla Mezzaluna; furono perse Negroponte e l’Egeo, Cipro e il Peloponneso, Creta e Scutari, ma mai Venezia venne domata, protagonista di strepitose pagine di eroismo, dagli eroici sacrifici di Negroponte (1470) e Famagosta (1570) alla radiosa vittoria di Lepanto (1571) dove, se non fu possibile salvare la contesa Cipro, con grande probabilità si salvò la Cristianità infliggendo alla flotta turca la più pesante umiliazione sino ad allora. Sbaglia però chi crede che la decadenza veneziana, inevitabile per tutte le potenze della storia che raggiungono l’apice della propria grandezza, coincida con la comparsa del potente impero della “Sublime Porta”, poichè Venezia non guardò al turco solo come un nemico, ma anche come un universo da comprendere e scoprire, favorendo uno spettacolare confronto culturale tra due sfere opposte e complementari allo stesso tempo; il XVI secolo non fu l’inizio della fine per Venezia ma fu l’apice del proprio prestigio economico, culturale e politico, modello ammirato ed invidiato. Tra la Serenissima e Costantinopoli musulmana sorse un legame simbiotico, poggiante sull’economia e sugli scambi culturali; fu grazie alla conquista ottomana dell’Egitto del 1517 che il commercio veneziano non risentì delle nuove rotte portoghesi circumnaviganti l’Africa per giungere alla fonte principale dei mercati, l’India, che presto trovarono l’ingombrante presenza turca nell’Oceano indiano a condizionarle, mentre il nuovo mondo, le americhe, videro allora il sorgere della loro centralità commerciale ma non ancora l’affermazione.
Venezia entrò realmente nella propria fase calante solo nel XVII secolo; allora pesarono sì le nuove rotte atlantiche, non più monopolio soltanto di Spagna e Portogallo, ma ora e sempre più della nascente potenza olandese e, soprattutto, britannica; centrarono sì i conflitti con gli ottomani e la perdita di Creta del 1669. Ma La principale ragione trova origine dal cambiamento di mentalità dell’imprenditoria veneziana, patrizia o borghese che fosse. Già dalla metà del XVI secolo notava lo spostamento dell’interesse generale dai traffici mercantili all’industria artigianale dei beni di lusso – dal vetro di Muarano alla produzione di pizzi….- e all’acquisto di proprietà fondiarie nella Terraferma, giudicata più sicura e redditizia a dispetto dei rischi e delle insicurezze offerte dal mare dove, ai pericoli di marosi e tempeste, si aggiungevano le continue guerre e, soprattutto, la costante e dura piaga dei corsari, divampata come un incendio sulle acque mediterranee in frequenza esponenziale proprio con l’ascesa delle potenze spagnola ed ottomana; corsari barbareschi, Cavalieri di Malta e di Santo Stefano, pirati slavi, conosciuti col nome di uscocchi, da Fiume e Segna – proprio nel cuore del “Golfo di Venezia” – rendevano il “Mare Nostrum” un mondo di incertezze e azzardi, come del resto sempre era stato. A ciò si aggiunsero altri fattori, come l’aumentato costo nel mantenere una flotta o di organizzare un convoglio navale – e qui pesarono le perdite dei domini levantini per mano turca, in quanto terre di reclutamento per manodopera navale, specie di rematori -.
Fu il progressivo abbandono alla propria vocazione marittima a dare inizio al declino della Serenissima, che progressivamente perdette il dominio dei mari e dei traffici economici. L’abbandono del mare per la terra relegò la Serenissima a rango di potenza sempre più secondaria, dal XVIII secolo meta turistica – azzardando un aggettivo improprio – del Gran Tour della nobiltà europea, attirata dallo sfarzo della città dei dogi, quell’opulenza tutta dovuta al dominio delle rotte mercantili e delle onde del proprio golfo, l’Adriatico che sempre, al di là dell’inesorabile declino, rimase fedele alla Repubblica. Quel mare che guardò impotente al definitivo crollo della Serenissima del 12 maggio 1797, quando il governo marciano, consumato e corrotto, preferì non ascoltare la volontà del proprio popolo – disposto a combattere – e si arrese impotente innanzi alla tempesta napoleonica che pose fine al più fiero e rispettato degli antichi Stati italiani. E proprio dal “suo” golfo giunse l’ultimo e commovente saluto di commiato al gonfalone di San Marco, baciato dalla popolazione della fedelissima Perasto, borgo marinaio presso Cattaro – oggi nell’odierno Montenegro -, che piangendo per la fine della propria patria salutò l’ormai dormiente leone alato col grido “Ti co nu nu co ti” – tu con noi, noi con te -.