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Confessioni di un catto-tradizionalista che “tifa Islam”

24 Agosto 2012
in Articoli

di Marco Mancini

L’ottimo blog cattolico “Il pubblicano” ha pubblicato tempo fa un interessante post, mettendo alla berlina la presunta incoerenza di quei “cattolici tradizionalisti che tifano Islam”. Siccome questa è l’accusa che mi è stata mossa a lungo negli ultimi anni, mi sono sentito chiamato in causa e provo quindi a fornire qualche risposta, a titolo di chiarimento (ovviamente, parlo per me e per nessun altro).

Inutile dire che, dal punto di vista religioso, non tifo affatto per l’Islam, perché considero il Cattolicesimo l’unica vera Fede. Però ho rispetto per i musulmani che professano con cuore sincero la loro fede e trovo che alberghi più grazia in loro che nei tanti cristianucci tiepidi che vanno in Chiesa per convenzione borghese. Certo, ho più simpatia per l’Islam che per il Giudaismo, se non altro perché l’Islam è, nel bene e nel male, una religione universalistica e non fondata su un esclusivismo di tipo razziale. E anche perché è certamente vero che il Gesù del Corano non è il Gesù dei Vangeli (non ne viene ovviamente riconosciuta la divinità), ma almeno i musulmani venerano Lui come il più grande profeta prima di Maometto – tornerà nell’ultimo giorno a combattere l’Anticristo, appunto – e sua Madre come Vergine, a differenza di altri (vedi Talmud) che li considerano rispettivamente un malfattore e una donna di facili costumi.

 

Mi interessa la cultura arabo-musulmana perché sono cosciente del fatto che l’esito del confronto secolare tra due civiltà non è sempre e solo guerra, ma anche contatto e contaminazione. So che molte parole italiane hanno origine araba (ammiraglio, assassino, albicocca, almanacco, baldacchino, facchino, ricamo, limone, algoritmo, etc.), mi piacciono la Cupola della Roccia e l’Alhambra di Granada – anche se mi rallegro dell’avvenuta Reconquista spagnola e rimpiango la perdita della Terrasanta –, gli arabeschi e i mosaici dell’arte islamica. Invece, con buona pace della retorica sui “fratelli maggiori” e sulle “radici giudaico-cristiane” dell’Europa, non riesco a trovare altrettanti retaggi della cultura giudaica post-biblica (il giudaismo antico è altra cosa e trova pieno compimento nel Cristianesimo).

 

Io non sono sempre disposto a “difendere i maomettani qualunque cosa facciano”, cerco solo di ristabilire un po’ di verità. Non mi piacciono la lapidazione delle adultere, la poligamia, le spose bambine (attenzione però, perché in tutte le società tradizionali le ragazze, compresa la Vergine Maria, si sono sempre sposate subito dopo la pubertà e i matrimoni combinati erano un’abitudine del nostro Occidente cristiano fino a qualche decennio fa), ma non mi unisco al coro politicamente corretto e dirittumanista delle manifestazioni per Sakineh, strumentalizzate politicamente in chiave anti-iraniana.

 

Mi piacerebbe avere uno Stato confessionale, ma finché siamo in uno Stato laico i musulmani devono poter pregare il loro Dio e avere i loro luoghi di culto al pari di tutti gli altri, senza che da parte nostra si facciano strani discorsi su una presunta “reciprocità”. Persino i Templari, abituati a non dare né chiedere quartiere in battaglia, nei momenti di tregua consentivano ai loro ospiti musulmani di pregare in uno spazio ricavato all’interno del Tempio di Salomone e chiedevano scusa per l’irruenza e la rozzezza dei crociati appena sbarcati dall’Europa, che se ne scandalizzavano.

 

Non mi compiaccio, anzi mi addoloro e mi indigno, per il martirio dei cristiani in Pakistan, in Nigeria o in qualsiasi altra località. Non voglio che l’Europa diventi parte del dar al-Islam (casa dell’Islam) e mi dolgo per le conquiste islamiche dei primi secoli. Sono costretto, però, a ricordare che la conquista musulmana fu accolta di buon grado – anche perché garantiva ai “popoli del libro” di conservare la propria fede – da moltissimi cristiani orientali (nestoriani, monofisiti, etc.), ferocemente perseguitati dall’ortodosso imperatore di Bisanzio. La storia, insomma, è complicata, come è complicata la politica.

 

E, se parliamo di politica, io non sto con i musulmani in quanto tali. Io sto con i musulmani se e nella misura in cui sono vittime di una violenza e di una menzogna soverchianti. Sto con i palestinesi (cristiani e musulmani), perché difendo il loro diritto ad avere una Patria nella terra che è stata loro sottratta iniquamente e all’interno della quale sono oggetto di discriminazioni e violenze quotidiane. Se il “nostro” Occidente invade e occupa senza ragione dei Paesi musulmani, io ho il dovere di stare dalla parte dell’aggredito e non dell’aggressore, chiunque siano i contendenti. Se gli afgani combattono per liberare la loro terra da quello che considerano (come i russi di trent’anni fa) un invasore straniero, il loro non è terrorismo, anche se a farne le spese sono i “nostri ragazzi”. Se gli americani e gli israeliani usano il fosforo bianco in Iraq e a Gaza, con effetti devastanti in termini di malformazioni dei nuovi nati, ho il dovere di denunciare questi crimini orribili. Se i media occidentali raccontano continuamente bugie sull’Iran e sul suo presidente, io ho il dovere di rettificare e di dire la verità.

 

Mi si rimprovera una certa complicità con il terrorismo islamista, in chiave antistatunitense. Vale esattamente il contrario. L’islamismo radicale è stato negli ultimi decenni il miglior alleato degli Stati Uniti d’America. Sono stati gli americani a finanziare e addestrare i mujahiddin in Afghanistan contro i sovietici, collaborando con un giovane Osama bin Laden alla creazione del primo embrione della futura Al-Qaeda. A strumentalizzare i tragici fatti dell’11 settembre 2001 e la retorica della crociata contro l’Islam per invadere a suon di bombe due Paesi, uno dei quali (l’Iraq) guidato da un regime laico e senza alcun legame con il terrorismo islamista, con il solo scopo di ristrutturare a proprio vantaggio lo scacchiere mediorientale. Sono gli americani, infine, che ora utilizzano nuovamente i tagliagole islamisti per scalzare altri regimi scomodi, come dimostrano gli eventi della Libia e della Siria. Insomma, quando si tratta di modificare l’assetto del Medio Oriente in senso funzionale agli interessi statunitensi, il fondamentalismo islamico diventa amico o nemico a seconda delle convenienze. E chi fa le spese di tutto questo? I cristiani, of course.

 

La questione, dunque, è politica – anzi, geopolitica – e non religiosa. Non si capisce, allora, perché da cattolico debba preferire il wahabismo saudita agli ayatollah iraniani, l’emiro del Qatar al laico Assad. Solo perché i primi vanno a braccetto con gli USA? Qualcuno mi spiega perché dovrei avercela con gli iraniani piuttosto che con Israele o con l’Arabia Saudita? Perché l’Italia continua a danneggiare i suoi interessi imponendo sanzioni a Paesi con i quali intrattiene floridi scambi commerciali? E’ possibile immaginare una politica estera che non sia supinamente adagiata sugli interessi degli Stati Uniti? Si diventa forse meno cattolici per questo?

 

Il mio sforzo, in tutti questi anni, è stato proprio finalizzato a combattere la semplificazione, ideologica e quindi mistificante, del c.d. “scontro di civiltà” (anche se per qualche tempo ci sono cascato anch’io…). L’idea, cioè, che esistano due blocchi monolitici chiamati Occidente e Islam, che tali blocchi siano uniti al loro interno da valori e interessi comuni e che siano inevitabilmente destinati a cozzare l’uno contro l’altro. Ho combattuto questa idea semplicemente perché, come ho appena dimostrato, essa è falsa.

 

Voi siete liberissimi di continuare a credere che esista un qualcosa chiamato Occidente, che esso si identifichi con la Cristianità (e non ne sia invece una completa negazione), che la potenza statunitense sia la nostra stella polare e che valga la pena di morire e combattere per essa.

Di una cosa, però, vi pregherei: lasciamo da parte Nostro Signore Gesù Cristo, incarnato, morto e risorto per la redenzione del genere umano e non per legittimare gli interessi umani, troppo umani, dei grandi burattinai globali. E, già che ci siamo, lasciamo perdere pure i crociati: ché quelli, a differenza di certi telepredicatori evangelici, erano gente seria.

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