
Bombe americane sull’Iran? un film in parte già visto. Trump autosputtanato? altro film già visto. Le motivazioni? Sempre le stesse. Non aggiungerò nulla a quello che ho già scritto su queste stesse pagine in due articoli di qualche anno fa: “I perché di un tradimento” (21 aprile 2017) e “Da paladino della pace a sceriffo della guerra” (20 ottobre 2017).
Cito dal primo dei due pezzi:
«La sua campagna elettorale si era svolta tutta all’insegna dell’isolazionismo pacifista contro i venti di guerra che facevano aureola a “Killary”, l’amazzone delle primavere arabe, la triste profetessa dello scontro frontale con la Russia.
Quando venne eletto, furono in molti a mettere il lutto; e, fra costoro, in primo luogo i becchini della guerra, all’interno come all’estero. (…) Il panico dei poteri forti era grande, ed era giustificato. Se Trump e Putin si fossero messi d’accordo, la storia del mondo sarebbe cambiata da così a così. E a lor signori una tale prospettiva non era assolutamente gradita.
Cominciarono allora a lavorare il Presidente ai fianchi, impedendogli sostanzialmente di governare. La chiave di volta era il suo stesso partito, detentore della maggioranza sia al Senato che alla Camera dei Rappresentanti. Fu un giochetto chiamare a raccolta la minoranza interna, l’estrema destra “neocon” che voleva la crociata anti-Putin e il trionfo di quello che Eisenhower chiamava “il complesso militar-industriale”. La saldatura fra questa componente reazionaria e gli eletti democratici si è manifestata in tutta la sua potenza in più occasioni (…)
A quel punto Trump aveva ben chiara l’alternativa: o rassegnarsi a una guerra permanente con il Congresso almeno per i prossimi due anni (fino alle “elezioni di medio termine”), o inchinarsi ai poteri forti. E Trump ha preferito inchinarsi. D’altro canto – diceva Manzoni parlando di Don Abbondio – il coraggio se uno non ce l’ha mica se lo può dare. Trump, evidentemente, non ha potuto darselo.
Questa mancanza di coraggio, tuttavia, non si è manifestata improvvisamente, con le bombe sulla Siria. C’erano state numerose avvisaglie, fin dai giorni immediatamente successivi all’insediamento del nuovo Presidente. I primi segnali si erano avuti con gli inchini a Israele e all’Arabia Saudita, due potenze che nell’attuale caos mediorientale hanno responsabilità forse superiori a quelle degli Stati Uniti; e con le contemporanee manifestazioni d’ostilità verso l’Iran sciita, accusato di essere veicolo di terrorismo; mentre invece – lo sanno anche le pietre – è l’avversario numero uno dell’ISIS e dei suoi finanziatori. Era come se Trump-Abbondio si scusasse con i Don Rodrigo di Ryad e di Tel-Aviv per avere battuto la loro candidata, dichiarando fin da subito che l’annunciata politica di distensione con la Russia non si sarebbe spinta fino a mettere in discussione il disegno strategico dei poteri forti sion-petroliferi. E, anche a prescindere dal Medio Oriente, le promesse pacifiste di Donald Trump sembravano perdere colpi: nulla di nuovo in Ukraina, la nazione che potrebbe fungere da ariete per la spinta finale alla terza guerra mondiale; e nulla di nuovo neanche negli stessi States (…)
Gli strateghi e i consiglieri nazionalisti dell’America First sono stati messi da parte uno ad uno, o abbandonati non appena qualche aspirante bombarolo ne metteva in dubbio la volontà di scatenare l’apocalisse sul mondo intero. Fino all’episodio più clamoroso: quello – recentissimo – della rimozione dell’ideologo e coordinatore della campagna elettorale trumpista, Steve Bannon, dal Consiglio per la Sicurezza Nazionale. Il fatto – oltre ad essere avvilente sul piano umano e personale – è probabilmente la spia della svolta bellicista del Presidente. La giubilazione del suo più fidato consigliere, infatti, sembra procedere di pari passo con l’irresistibile ascesa del marito della figlia Ivanka, Jarod Kushner, nominato “Alto Consigliere” del Presidente. Kushner è un uomo d’affari ebreo-americano, legato agli ambienti israeliani che sostengono Netanyahu ed avversano la distensione con i palestinesi: “Egli guida una fondazione – leggo su Wikipedia – che finanzia una yeshiva ultra-ortodossa della colonia di Beit El, nota per la sua radicale opposizione al processo di pace tra Israele e Palestina.”
Ma le sorprese non finiscono qui. Perché – come rivela il giornalista investigativo Maurizio Blondet – sembrerebbe che il generissimo sia in stretti rapporti d’affari con il “filantropo” Georges Soros, altro miliardario del medesimo context ebraico-americano. La famiglia Kushner ha smentito, ma la notizia non sembra di quelle facili da inventare di sana pianta, perché – continua Blondet – ruoterebbe attorno a un prestito colossale (259 milioni di dollari). Soros – per la cronaca – è stato un munifico sponsor della campagna elettorale di Hillary Clinton e, in epoca più recente, uno dei maggiori finanziatori delle manifestazioni “spontanee” contro Trump. Inoltre, è tra i massimi teorizzatori della “crociata” contro la Russia di Putin. Ecco che il cerchio si chiude. Speriamo, non sulle nostre teste.»
E tornavo sull’argomento qualche tempo dopo:
«… Mi basavo sulla esplicita promessa di Trump di sotterrare l’ascia di guerra con Putin e di combattere insieme il nemico del mondo civile, cioè il terrorismo islamico. Da candidato, Donald Trump lo aveva detto, ridetto, ripetuto in tutte le salse: Putin non è il nemico degli USA, Assad non è il nemico degli USA, il nemico è l’ISIS.
E, invece, cosa ha fatto appena è stato eletto Presidente? È andato a bombardare proprio Assad, con la scusa che questi avesse usato armi chimiche. Quando tutti sanno – chiedetelo anche alle pietre di laggiù – che gli unici a far uso di armi chimiche in Siria sono i ribelli “moderati”, quelli che, guarda caso, sono finanziati dai servizi segreti a stelle e strisce. A suo tempo, lo certificò anche Carla Del Ponte (magistrata svizzera attiva sul fronte dei crimini di guerra internazionali), affermando che “stando alle testimonianze che abbiamo raccolto, i ribelli hanno usato armi chimiche (…) al momento sono solo gli oppositori al regime ad aver usato il gas sarin”.
Perché è avvenuto questo? Perché Trump – messo in croce dai suoi avversari che di fatto gli impediscono di governare – ha cercato di ingraziarsi i potentati mediorientali che hanno sostenuto la Clinton: cioè Israele e l’Arabia Saudita, che giustappunto sono i grandi burattinai della manovra che vorrebbe frantumare i grandi paesi arabi (Siria, Irak, Libia) per dar vita ad una miriade anarchica di staterelli inoffensivi e facili da manovrare.
(…) Sarebbe bastata una sola apparizione televisiva per riconquistare la libertà d’azione e la dignità che un Presidente della maggiore potenza mondiale dovrebbe avere. Ma non poteva farlo, perché aveva deciso di andare a cercare protezione proprio in Israele e nell’Arabia Saudita. D’altro canto – fateci caso – è solo quando intraprende pazzesche crociate anti-siriane o anti-iraniane che il Congresso gli dà il via libera, consentendogli di giocare a indiani e cow-boys. Per il resto, basta che modifichi di una virgola una qualunque norma sull’immigrazione, e immediatamente viene a trovarsi la strada sbarrata da una manovra parlamentare, o magari da qualche magistrato con nostalgie obamiane.
La sua ultima genialata è stato l’annuncio della disdetta dell’accordo sul nucleare con l’Iran. Riproposizione pura e semplice della richiesta di una delle due fazioni israeliane, quella che fa capo a Nethanyahu. Al premier israeliano – per la cronaca – è vicino il genero di Trump, il finanziere ebreo Jarod Kushner (sposo di Ivanka). Il genero della Clinton – il finanziere ebreo Marc Mezvinsky (sposo di Chessa) – è invece vicino alla fazione israeliana anti-Nethanyahu.
Dimenticavo: in quanto massima nazione musulmano-sciita, l’Iran è visto come il fumo negli occhi dall’Arabia Saudita, capofila dell’estremismo musulmano-sunnita. Prendendosela con l’Iran, dunque, il tycoon americano recupera i proverbiali due piccioni con una fava, ingraziandosi in blocco tutti i potentati sion-petroliferi del Medio Oriente.»
Fine delle citazioni.
Decisamente, dal 2017 ad oggi è cambiato poco, molto poco.
E non aggiungo altro, lasciando le conclusioni all’intelligenza dei lettori.