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Dalla crisi, Berlino guadagna. Due volte. di M. Blondet

29 Luglio 2015
in Articoli

“La crisi dell’euro, lungi dal costar qualcosa alla Germania, le ha reso molto”: così uno studio francese di Alternatives Economiques, che ha rivelato un aspetto sconosciuto della crisi che ci attanaglia.

Il fatto che i titoli pubblici tedeschi siano visti dal mercato come beni rifugio, unito alla politica lassista della BCE, hanno permesso a Berlino di   indebitarsi a tassi incredibilmente bassi. Basta dire che nel 2008, anno di inizio della crisi, la Germania pagò 69 miliardi di interessi sul suo debito pubblico; mentre quest’anno pagherà 48 miliardi, benché il debito pubblico sia cresciuto di 490 miliardi. Se i tedeschi avessero dovuto servire i loro debito ai tassi del 2008,   gli sarebbe costato quasi il doppio: 93 miliardi.

Dunque fra il 2008 ed oggi, i contribuenti del Paese egemone hanno risparmiato…193 miliardi. E ciò, nonostante le somme sborsate per “aiuti” ai paesi in crisi, Grecia, Portogallo, Irlanda – che poi mica sono regali; sono prestiti concessi a tassi più alti  di quelli a cui s’indebita l’Egemone. “La crisi, e la sua continuazione, sono un affare eccellente per la Bundesrepublik”.

Non si tratta di un complotto, si affretta a dire il sito: ma questo spiega perché la Germania   insiste ad imporre “terapie” per la crisi, che la fanno durare: austerità, deflazione, avanzi primari.. Non ha interesse a farla finire, la sua cittadinanza non ne soffre per nulla, e nemmeno lo Stato. Men che meno le imprese: la stamperia della BCE ha fatto calare l’euro sul dollaro, consentendo alle ditte tedesche di compensare con l’export nel mondo ciò che hanno visto diminuire all’interno della UE.

Oltre al lucro sui tassi, c’è dunque stato il lucro del commerciare con una moneta svalutata per Berlino.

D’accordo, anche i paesi oggi in crisi hanno goduto, fino al 2008,   del calo dei tassi sui loro debiti; ma questa facilitazione concessa dai mercti ha creato una situazione, all’ombra della quale si sono divaricati gli squilibri nelle bilance commerciali: queste, che erano relativamente equilibrate nel 2000, quando la crisi è scoppiata si son trovate divergenti tra -10 e +6% del Pil: divergenze in gran parte dovute alla stessa moneta unica. Prima, il marco si rivalutava periodicamente, le monete degli altri si svalutavano, e ciascun paese otteneva un moneta forte come permetteva la sua economia, la sua “cultura” e la sua inflazione interna. Con l’euro, i paesi a maggior differenziale inbflazionistico non hanno potuto aggiustare, e il paese con meno inflazione ha visto aumentare la sua   competitività – a spese dei partner europei.

La bilancia commerciale mostruosamente eccedentaria lo dimostra: Berlino s’è arricchita a spese degli altri. Si aggiunga un costo enormemente abbassato per il suo debito pubblico, e si comincia a capire perché la Germania – ormai creditore di ultima istanza nella UE – ha una forte tendenza a cacciare fuori i deboli dall’euro: voleva il Grexit e si prepara a fare lo stesso a Spagna, Italia, Portogallo. Dall’euro, e dai paesi deboli e resi meno competitivi, ha estratto tutto il succo; adesso sarebbe il momento di “trasferire” un po’, nel quadro di una “Europa federale”, con un bilancio comune e una fiscalità in comune. E naturalmente, non vuol farlo.

Anzi meglio: dice di volerlo fare. Schauble ha dichiarato allo Spiegel che nessuno meglio di lui vuole “più Europa”, con un ministro delle finanze comune e un bilancio unitario dell’euro-zona, insomma esattamente ciò che vogliono Hollande, Renzi e gli “europeisti” più fanatici.

Ma in questa partita di bridge dei bugiardi che è ormai l’Europa, le dichiarazioni nascondono un bluff. Gli uni e gli altri bluffano disonestamente, fingendo di dire la stesse cose, e intendono il contrario l’uno dell’altro

Hollande e Renzi: adesso facciamo “più Europa” e dunque Berlino trasferirà i suoi titanici attivi a coprire i nostri passivi.

Schauble: Più Europa, certo, ma i paesi cicala siano inchiodati ad una disciplina di bilancio strettissima, sotto controllo di Francoforte e dei tecnici, senza più che vi abbia spazio la democrazia. Naturalmente, Schauble e i tedeschi sono (quasi) in buona fede: esigono la convergenza delle bilance commerciali e dei deficit pubblici. Senza dire che quando ci fosse convergenza come la vogliono loro, non ci sarebbe bisogno di trasferire nemmeno un euro da Berlino al Portogallo o all’Italia. Comodo, e con l’egemonia assicurata nei secoli.

Patetico esponente degli speranzosi (e indebitatissimi), l’europeista-super Pier Carlo Padoan ha detto al FT quanto segue: “Per avere una politica economica e monetaria intera, c’è bisogno di una unione di bilancio e di una politica di bilancio…e questa politica deve rispondere davanti a un parlamento, un parlamento che deve essere eletto”. Sembra che parli di democrazia, ma non è così. Parla di un parlamento europeo, che oltre ad essere impotente come quello attuale, sarebbe –dovendo votare il bilancio di previsione fra ricchi e poveri – un luogo di tutte le guerre civili europoidi prossime venture.

La controprova che la “democrazia” non c’entra proprio niente? E’ stato affidato l’incarico di studiare la imposta europea – la tassa che si aggiungerà alle altre tasse,e che darà all’oligarchia un potere da stato federale – a Mario Monti. Un Solenne Cretino che nessuno ha mai eletto a nulla, che ha distrutto l’economia italiana essendo stato messo al governo da un euro-golpe, ma tuttavia è sempre a capo di qualche particolare del Progetto. Il progetto di Jean Monnet 1948. Va’ avanti, anche se questa è ormai una prigione dei popoli. L’Europa federale può tardare; state sicuri che la “tassa Europa” entrerà subito in vigore, e, pensata dal Cretino, sarà sicuramente devastatrice.

Grecia, l’umiliante catalogo delle svendite

Se vi domandate ancora che cosa sarà questa “Più Europa” che entrambi i farabutti vogliono con le stesse parole, basta che guardiate alla Grecia, perché rappresenta il vostro futuro – prossimo.

Ad Atene, il governo deve ottenere l’approvazione della Troika prima di decidere una nuova legge; adottare tagli semi-automatici della spesa pubblica; accelerare il pignoramento e la liquidazione di attività commerciali ed abitazioni che non possono pagare i loro debiti.

Ma soprattutto, la Grecia deve privatizzare 50 miliardi di beni pubblici. Metterli in vendita a privati, e col ricavato   rimborsare il debito e ricapitalizzare le banche.

La svendita sarà gestita dai creditori e dalla Troika. L’ammasso dei beni pubblici, umiliante, è già stato fatto, e si trova sul sito dello speciale Fondo di pignoramento che Tsipras ha accettato, e che ha il nome orwelliano di Hellenic Republic Asset Development Fund (HRADF, [http://www.hradf.com/en] . C’è tutto in quel tristissimo mercato delle pulci: si vendono spiagge a Rodi, il resorto di Vouliagmenos, una decina di hotel, fonti di acque termali, un castello a Corfù, uno stadio famoso, dodici porti dodici: Pireo, Tessalonica, Volos Rafina, Igoumenitsa, Patrasso, Alexandrupolis, Iraklio, Elefsina, Lavrio, Corfù, Kavala…praticamente i greci non avranno più   un porto.

Sono all’asta inoltre:   l’azienda dell’acqua potabile di Atene, l’operatore della rete elettrica ADMIE, le installazioni dei Giochi Olimpici.   Di fatto, stranieri compreranno per pochissimo (un tentativo di vendere beni pubblici per 50 miliardi era già stato tentato nel 2011: ne aveva reso 3,2) – e quasi sicuramente renderanno redditizio ciò che, mal gestito dal pubblico potere ellenico, perdeva.   Piccolo particolare: i greci lavoreranno per gli altri, non si terranno niente, i profitti andranno all’estero. La nuova Europa ha rimesso in vigore una norma che già l’antica Roma aveva abolito come disumana:   il lavoro forzato per debiti.

La Commissione prepara la chiusura-lampo delle banche

Il 24 e 25 giugno, la Commissione europea ha organizzato un seminario poer i suoi operatori. Agenti dell’agenzia americana FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation) hanno spiegato come si fa’ a chiudere le banche  in una sola notte – in modo che i depositanti non possano correre agli sportelli a svuotarle – in caso di panico finanziario.

In attesa degli stress test, c’è un certo nervosismo: molte banche europee non li supereranno, già si sa. La competenza americana in questo problema è preziosa:durante la crisi Lehman, hanno serrato 500 banchette. I maestri statunitensi hanno diretto una simulazione, un vero e proprio addestramento bellico per gli allievi eurpopei. Hanno insegnato certi trucchetti. Per esempio le piccole città devono essere sorvegliate in modo speciale per evitare il panico. “Una quantità di veicoli sconosciuti può seminare turbamento in quelle località”, ha   spiegato Pamela Farwig della Associazione Gliobale per i Rischi professionali, che era presente.   L’addestramento sarà specialmente prezioso   in caso di bail-in: ossia quandoi decideranno di far pagare a voi, coi vostri depositi, gli errori, le follie e i fallimenti delle banche. Anche questo, in vista di “Più Europa”

da www.maurizioblondet.it

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