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Jürgen Habermas: “L’egemonia di Berlino contro l’anima dell’Europa”

24 Luglio 2015
in Articoli

Il duro atto d’accusa del grande filosofo alla cancelliera e al ministro Schäuble: “In una notte sola si sono giocati tutto il capitale politico che la migliore Germania si era costruita nel corso degli ultimi cinquant’anni”

di PHILIP OLTERMANN *

18 luglio 2015

JÜRGEN HABERMAS, una delle personalità intellettuali più rappresentative che sia siano spese sul tema dell’integrazione europea, ha lanciato un veemente attacco alla cancelliera tedesca Angela Merkel, accusandola di essersi giocata, con la linea dura tenuta nei confronti della Grecia, tutti gli sforzi compiuti dalle precedenti generazioni tedesche per ricostruire la reputazione della Germania nel dopoguerra. Parlando dell’accordo raggiunto lunedì scorso con Atene, il filosofo e sociologo afferma che la cancelliera ha in effetti compiuto un “atto di punizione” contro il governo di sinistra guidato da Alexis Tsipras.

Professor Habermas, qual è il suo giudizio sull’accordo raggiunto lunedì?
“L’accordo sul debito greco annunciato lunedì è dannoso sia come risultato che per il modo con cui è stato raggiunto. Primo, l’esito dei colloqui è sconsiderato: anche considerando le condizioni capestro dell’accordo come la giusta linea d’azione, non ci si può aspettare che queste riforme siano attuate da un governo che, per sua ammissione, non crede nei termini dell’accordo. Secondo, l’esito dell’accordo non ha senso in termini economici a causa della combinazione tossica di necessarie riforme strutturali a livello istituzionale ed economico con imposizioni neoliberaliste, che scoraggeranno totalmente una popolazione greca allo stremo, e uccideranno qualunque impeto alla crescita. Terzo, il risultato dell’accordo significa che un Consiglio europeo impotente dichiara efficacemente il suo fallimento politico: la relegazione de
facto di uno Stato membro allo status di protettorato contraddice apertamente i principi democratici dell’Unione europea. Infine, tale risultato è infausto in quanto costringere il governo greco ad accettare un fondo di privatizzazioni eminentemente simbolico e discutibile da un punto di vista economico non può che essere inteso come una punizione contro il governo di sinistra. È difficile fare più danni di così. Eppure il governo tedesco ha fatto questo quando il ministro delle Finanze Schäuble ha minacciato l’uscita della Grecia dall’euro, rivelandosi quindi spudoratamente come il supremo rigorista europeo. In quell’occasione, il governo tedesco ha per la prima volta affermato manifestamente la sua egemonia in Europa  –  è comunque così che è stato percepito nel resto d’Europa, e questa percezione definisce la realtà che conta. Temo che il governo tedesco, compresa la sua fazione socialdemocratica, si sia giocato in una notte tutto il capitale politico che una Germania migliore aveva accumulato in mezzo secolo  –  e per “migliore” intendo una Germania caratterizzata da una maggiore sensibilità politica e mentalità post- nazionalista”.

Quando, il mese scorso, Tsipras ha indetto il referendum, molti altri politici europei lo hanno accusato di tradimento. A sua volta, la cancelliera tedesca è stata accusata di aver ricattato la Grecia. Secondo lei, chi è più colpevole del deterioramento della situazione?
“Non sono sicuro delle vere intenzioni di Alexis Tsipras, ma dobbiamo riconoscere un semplice fatto: per permettere alla Grecia di rimettersi in piedi, devono essere ristrutturati i debiti che l’Fondo monetario internazionale ha ritenuto “altamente insostenibili”. Malgrado ciò, sia Bruxelles che Berlino, sin dall’inizio, hanno persistentemente negato al premier greco l’opportunità di negoziare una ristrutturazione del debito. Alla fine, per superare questo muro di resistenze dei creditori, Tsipras ha cercato di rafforzare la sua posizione con un referendum, incassando un consenso interno superiore alle aspettative. Questa legittimazione rinnovata ha costretto la sua controparte a cercare un compromesso o sfruttare la situazione di emergenza della Grecia assumendo il ruolo, ancora più di prima, di rigorista. Sappiamo come è andata a finire”.

L’attuale crisi europea è un problema finanziario, politico o morale?
“La crisi attuale è dovuta sia a cause economiche che al fallimento politico. La crisi del debito sovrano greco emersa dalla crisi delle banche affondava le sue radici nelle condizioni non ottimali di un’unione monetaria composta da parti eterogenee. Senza una comune politica economica e finanziaria, le economie nazionali di Stati membri pseudo-sovrani continueranno ad andare alla deriva in termini di produttività. Nessuna comunità politica può sostenere una tale tensione, nel lungo termine. Al contempo, concentrandosi sull’elusione del conflitto aperto, le istituzioni dell’Ue impediscono le necessarie iniziative politiche per espandere l’unione monetaria in unione politica. Solo i leader di governo riuniti nel Consiglio europeo sono in condizioni di agire, ma sono esattamente loro a non poterlo fare nell’interesse di una comunità europea coesa, perché pensano al loro elettorato nazionale. Siamo bloccati in una trappola politica”.

In passato, Wolfgang Streeck ha ammonito che l’ideale europeo è la radice della crisi attuale, non il rimedio a questa: l’Europa, ha avvertito, non ha salvato, ma abolito, la democrazia. Molti europei a sinistra sentono che le vicende attuali confermano la critica di Streeck del progetto europeo. Quale è la sua posizione riguardo alle loro preoccupazioni?
“A parte la sua previsione di un’imminente fine del capitalismo, concordo ampiamente con l’analisi di Streeck. Nel corso della crisi, l’esecutivo europeo ha guadagnato sempre più autorità. Le decisioni chiave sono prese dal consiglio, dalla Commissione e dalla Bce  –  in altre parole proprio dalle istituzioni che non sono abbastanza legittimate per prendere tali decisioni o che non hanno alcuna base democratica. Io e Streeck conveniamo anche sull’idea che questa esautorazione tecnocratica della democrazia sia il risultato di un modello neoliberalista di politiche di deregolamentazione dei mercati. L’equilibrio tra politica e mercato è andato fuori sincrono, a spese dello stato sociale. A dividerci sono le conseguenze di questa situazione difficile. Io non capisco come un ritorno agli Stati- nazione da gestire come grandi società di capitali in un mercato globale possa contrastare la tendenza alla de-democratizzazione e alla crescente diseguaglianza sociale, a cui, appunto, assistiamo anche in Gran Bretagna. Tali tendenze possono essere contrastate, semmai, solo con un cambio di orientamento politico, portato avanti dalle maggioranze democratiche in un “nucleo europeo” più fortemente integrato. L’unione monetaria deve acquisire la capacità

di operare a livello sovranazionale. Alla luce del caotico processo politico innescato dalla crisi greca non possiamo più permetterci di ignorare i limiti del metodo attuale di compromesso intergovernativo”.

* © The Guardian Traduzione di Ettore C. Iannelli

da Repubblica Economia e Finanza

Jürgen Habermas: “L’egemonia di Berlino contro l’anima dell’Europa”

Il duro atto d’accusa del grande filosofo alla cancelliera e al ministro Schäuble: “In una notte sola si sono giocati tutto il capitale politico che la migliore Germania si era costruita nel corso degli ultimi cinquant’anni”

di PHILIP OLTERMANN *
18 luglio 2015

 

JÜRGEN HABERMAS, una delle personalità intellettuali più rappresentative che sia siano spese sul tema dell’integrazione europea, ha lanciato un veemente attacco alla cancelliera tedesca Angela Merkel, accusandola di essersi giocata, con la linea dura tenuta nei confronti della Grecia, tutti gli sforzi compiuti dalle precedenti generazioni tedesche per ricostruire la reputazione della Germania nel dopoguerra. Parlando dell’accordo raggiunto lunedì scorso con Atene, il filosofo e sociologo afferma che la cancelliera ha in effetti compiuto un “atto di punizione” contro il governo di sinistra guidato da Alexis Tsipras.

Professor Habermas, qual è il suo giudizio sull’accordo raggiunto lunedì?
“L’accordo sul debito greco annunciato lunedì è dannoso sia come risultato che per il modo con cui è stato raggiunto. Primo, l’esito dei colloqui è sconsiderato: anche considerando le condizioni capestro dell’accordo come la giusta linea d’azione, non ci si può aspettare che queste riforme siano attuate da un governo che, per sua ammissione, non crede nei termini dell’accordo. Secondo, l’esito dell’accordo non ha senso in termini economici a causa della combinazione tossica di necessarie riforme strutturali a livello istituzionale ed economico con imposizioni neoliberaliste, che scoraggeranno totalmente una popolazione greca allo stremo, e uccideranno qualunque impeto alla crescita. Terzo, il risultato dell’accordo significa che un Consiglio europeo impotente dichiara efficacemente il suo fallimento politico: la relegazione de
facto di uno Stato membro allo status di protettorato contraddice apertamente i principi democratici dell’Unione europea. Infine, tale risultato è infausto in quanto costringere il governo greco ad accettare un fondo di privatizzazioni eminentemente simbolico e discutibile da un punto di vista economico non può che essere inteso come una punizione contro il governo di sinistra. È difficile fare più danni di così. Eppure il governo tedesco ha fatto questo quando il ministro delle Finanze Schäuble ha minacciato l’uscita della Grecia dall’euro, rivelandosi quindi spudoratamente come il supremo rigorista europeo. In quell’occasione, il governo tedesco ha per la prima volta affermato manifestamente la sua egemonia in Europa  –  è comunque così che è stato percepito nel resto d’Europa, e questa percezione definisce la realtà che conta. Temo che il governo tedesco, compresa la sua fazione socialdemocratica, si sia giocato in una notte tutto il capitale politico che una Germania migliore aveva accumulato in mezzo secolo  –  e per “migliore” intendo una Germania caratterizzata da una maggiore sensibilità politica e mentalità post- nazionalista”.

Quando, il mese scorso, Tsipras ha indetto il referendum, molti altri politici europei lo hanno accusato di tradimento. A sua volta, la cancelliera tedesca è stata accusata di aver ricattato la Grecia. Secondo lei, chi è più colpevole del deterioramento della situazione?
“Non sono sicuro delle vere intenzioni di Alexis Tsipras, ma dobbiamo riconoscere un semplice fatto: per permettere alla Grecia di rimettersi in piedi, devono essere ristrutturati i debiti che l’Fondo monetario internazionale ha ritenuto “altamente insostenibili”. Malgrado ciò, sia Bruxelles che Berlino, sin dall’inizio, hanno persistentemente negato al premier greco l’opportunità di negoziare una ristrutturazione del debito. Alla fine, per superare questo muro di resistenze dei creditori, Tsipras ha cercato di rafforzare la sua posizione con un referendum, incassando un consenso interno superiore alle aspettative. Questa legittimazione rinnovata ha costretto la sua controparte a cercare un compromesso o sfruttare la situazione di emergenza della Grecia assumendo il ruolo, ancora più di prima, di rigorista. Sappiamo come è andata a finire”.

L’attuale crisi europea è un problema finanziario, politico o morale?
“La crisi attuale è dovuta sia a cause economiche che al fallimento politico. La crisi del debito sovrano greco emersa dalla crisi delle banche affondava le sue radici nelle condizioni non ottimali di un’unione monetaria composta da parti eterogenee. Senza una comune politica economica e finanziaria, le economie nazionali di Stati membri pseudo-sovrani continueranno ad andare alla deriva in termini di produttività. Nessuna comunità politica può sostenere una tale tensione, nel lungo termine. Al contempo, concentrandosi sull’elusione del conflitto aperto, le istituzioni dell’Ue impediscono le necessarie iniziative politiche per espandere l’unione monetaria in unione politica. Solo i leader di governo riuniti nel Consiglio europeo sono in condizioni di agire, ma sono esattamente loro a non poterlo fare nell’interesse di una comunità europea coesa, perché pensano al loro elettorato nazionale. Siamo bloccati in una trappola politica”.

In passato, Wolfgang Streeck ha ammonito che l’ideale europeo è la radice della crisi attuale, non il rimedio a questa: l’Europa, ha avvertito, non ha salvato, ma abolito, la democrazia. Molti europei a sinistra sentono che le vicende attuali confermano la critica di Streeck del progetto europeo. Quale è la sua posizione riguardo alle loro preoccupazioni?
“A parte la sua previsione di un’imminente fine del capitalismo, concordo ampiamente con l’analisi di Streeck. Nel corso della crisi, l’esecutivo europeo ha guadagnato sempre più autorità. Le decisioni chiave sono prese dal consiglio, dalla Commissione e dalla Bce  –  in altre parole proprio dalle istituzioni che non sono abbastanza legittimate per prendere tali decisioni o che non hanno alcuna base democratica. Io e Streeck conveniamo anche sull’idea che questa esautorazione tecnocratica della democrazia sia il risultato di un modello neoliberalista di politiche di deregolamentazione dei mercati. L’equilibrio tra politica e mercato è andato fuori sincrono, a spese dello stato sociale. A dividerci sono le conseguenze di questa situazione difficile. Io non capisco come un ritorno agli Stati- nazione da gestire come grandi società di capitali in un mercato globale possa contrastare la tendenza alla de-democratizzazione e alla crescente diseguaglianza sociale, a cui, appunto, assistiamo anche in Gran Bretagna. Tali tendenze possono essere contrastate, semmai, solo con un cambio di orientamento politico, portato avanti dalle maggioranze democratiche in un “nucleo europeo” più fortemente integrato. L’unione monetaria deve acquisire la capacità

di operare a livello sovranazionale. Alla luce del caotico processo politico innescato dalla crisi greca non possiamo più permetterci di ignorare i limiti del metodo attuale di compromesso intergovernativo”.

* © The Guardian Traduzione di Ettore C. Iannelli

 

da Repubblica Economia e Finanza

 

Gustavo Piga

Professor of Economics

20 luglio 2015

L’Europa dell’euro di Habermas? Sì grazie ma non troppa.

Il mio commento all’intervista rilasciata dal filosofo tedesco Habermas.

*

“È difficile fare più danni di così. Eppure il governo tedesco ha fatto questo quando il ministro delle Finanze Schäuble ha minacciato l’uscita della Grecia dall’euro, rivelandosi quindi spudoratamente come il supremo rigorista europeo. In quell’occasione, il governo tedesco ha per la prima volta affermato manifestamente la sua egemonia in Europa – è comunque così che è stato percepito nel resto d’Europa, e questa percezione definisce la realtà che conta. Temo che il governo tedesco, compresa la sua fazione socialdemocratica, si sia giocato in una notte tutto il capitale politico che una Germania migliore aveva accumulato in mezzo secolo – e per “migliore” intendo una Germania caratterizzata da una maggiore sensibilità politica e mentalità post- nazionalista“.

Concordo con questa frase del filosofo tedesco. Il passaggio sottolineato: perché Habermas ha sentito la necessità di aggiungerlo? E’ fondamentale quel passaggio.

E’ possibile infatti che Merkel e Schäuble abbiano intenzioni e siano in procinto di attuare strategie verso la Grecia solidari. E’ molto possibile che abbiano ragionato tenendo conto della necessità di fare la faccia cattiva per ottenere l’ok del Bundestag, del Parlamento tedesco, e convincere un’opinione pubblica nazionale oggi avversa ad un accordo e favorevole piuttosto ad un Grexit. Per poi passare invece a deliberare il riscadenziamento del debito greco, su cui le 7 pagine del documento dell’eurogruppo erano rimaste non a caso particolarmente vaghe.

http://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2015/07/12-euro-summit-statement-greece/

Ma, come dice Habermas, quello che conta è la percezione, colei “che definisce la realtà”. La percezione che rimane è quella di una Germania onnipotente e onnivora, e nessun accordo “sotterraneo”, per quanto solidale, per esempio sul debito, rimuoverà facilmente questa visione.

E’ questa visione che conta, che ispira i movimenti nazionalisti e populisti a soffiare sul fuoco dell’anti-europeismo e a raccogliere consenso. Essa prefigura la fine, domani, tramite l’unico canale rilevante, quello delle elezioni nazionali, di un’Europa Unita che pare sempre più un miraggio prima ancora che un sogno.

Ed è vero che le responsabilità dei leader tedeschi a riguardo di questa “percezione” sono enormi. Ricordiamo ben altri leader, come Kohl, che con opposizioni nei sondaggi e istituzionali (vedi Bundesbank) ancora più feroci e diffuse di quelle odierne seppero imporre la loro volontà esplicitamente e convincere un elettorato confuso e sospettoso (quello della Germania dell’Ovest) dei vantaggi della solidarietà verso la parte più bisognosa (quella dell’Est).

E a poco serve dire che la Grecia non è la Germania dell’Est: se la Germania vuole l’Unione monetaria non può adoperarsi per metterla a rischio. Altrimenti si decida ed esca essa stessa dall’Unione dell’euro: cosa che evidentemente non vuole fare. Ma nessuno può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Se la Germania vuole l’Unione deve, come per ogni unione, simbolicamente accettarla, abbracciarla.

*

“Io non capisco come un ritorno agli Stati-nazione da gestire come grandi società di capitali in un mercato globale possa contrastare la tendenza alla de-democratizzazione e alla crescente diseguaglianza sociale, a cui, appunto, assistiamo anche in Gran Bretagna.”

E’ un punto importante, questo di Habermas, una risposta ovvia a chi oggi dice, con ancora più forza di prima dopo la drammatica escalation greco-tedesca, che “euro=austerità” e che il trilemma “euro-democrazia-austerità” da noi forgiato su questo blog (con il quale intendiamo che delle tre cose solo due sono capaci di sopravvivere insieme) è sbagliato. Che bisogna dunque uscire dall’euro per far smettere l’austerità.

http://www.gustavopiga.it/2012/il-vero-trilemma-europeo/

Chi dice questo si illude di trovare al di fuori dell’euro un mondo miracolosamente “democratizzato”, privo di “disuguaglianze sociali”. E come avverrebbe questa magica trasformazione del ranocchio in principe? Non è dato sapere: è ovvio che se non la si sconfigge prima, l’ideologia che impone austerità e liberismo standardizzato, essa permarrebbe pure fuori dall’euro. E che, altra faccia della stessa medaglia, se vi è la forza politica di uscire dall’euro vi è ancor prima quella di liberarsi dall’austerità.

La battaglia è una sola: via dall’austerità tramite l’azione politica, altro che via dall’euro. Vincendo la prima, ti tieni la forza globale unificante di una moneta comune e ridai sviluppo equo ovunque.

*

“Tali tendenze possono essere contrastate, semmai, solo con un cambio di orientamento politico, portato avanti dalle maggioranze democratiche in un “nucleo europeo” più fortemente integrato. L’unione monetaria deve acquisire la capacità di operare a livello sovranazionale. Alla luce del caotico processo politico innescato dalla crisi greca non possiamo più permetterci di ignorare i limiti del metodo attuale di compromesso intergovernativo“.

Da tempo Habermas fa questo salto illogico, pericoloso, sospetto: che facendo fare un passo ancora più in alto all’Europa si risolvano i problemi in basso. Non è così: la foresta è fatta di alberi, se mancano questi la foresta sparisce. L’Europa politica nascerà solo dalla disponibilità unanime dei singoli Stati a cedere sovranità fiscale. E questo avverrà solo quando ci si sentirà “protetti” maggiormente dall’Europa che non al proprio interno, ovvero quando vi sarà la certezza in ogni Stato che la solidarietà che si è sempre avuta nazionalmente sarà ancora presente a livello europeo. A sua volta questo potrà avvenire solo quando l’Europa si sarà mostrata generosa, in maniera esplicita e convinta. Fino a quando ciò non avverrà, la proposta di Habermas equivale a cedere controllo politico globale a un’entità oggi già dominante, onnipotente e omnivora: la Germania o perlomeno quella che essa è divenuta nell’immaginario collettivo, un orco che mangia la democrazia.

dal blog del prof. Gustavo Piga

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