Un amico mi chiede di commentare questa breve nota, di recente pubblicata da “Il Foglio”. Non ricordo il nome del suo autore, che comunque non è una persona nota. Ecco il testo:
La nuova caduta di Costantinopoli . “Mentre i fanatici del Corano lambiscono la Turchia e islamizzano tutte le terre e le popolazioni dell’antico Patriarcato di Antiochia, l’occidente cavilla dietro ai divorziati risposati e alle coppie omosessuali. Il mio amico Matteo mi fa notare che siamo di fronte a un periodo simile alla caduta di Costantinopoli. Durante l’assedio all’ultimo baluardo della cristianità orientale, i bizantini discutevano se Gesù, alla destra del Padre, fosse seduto o in piedi. Ma a differenza degli attuali leader occidentali, compresi alcuni vescovi, l’imperatore di allora reagì di fronte alla minaccia. Il 5 aprile 1453 Maometto II intimò a Costantino XI di arrendersi. In cambio avrebbe avuto salva la vita e sarebbe diventato governatore, risparmiando la popolazione di Costantinopoli da saccheggi ed eccidi. L’imperatore rispose: – Darti la città non è decisione mia né di alcuno dei suoi abitanti; abbiamo infatti deciso di nostra spontanea volontà di combattere e non risparmieremo la vita – . Oggi capitolano”.
Credo che, nelle intenzioni dell’estensore di questa nota, s’intenda paragonare l’atteggiamento dei dotti e degli ecclesiastici della Bisanzio del 1453 a quello degli occidentali di oggi, che com’essi allora trattano di cose futili mentre una potenza islamica sta conquistando una parte importante del mondo. A tale atteggiamento di “capitolazione”, si contrappongono le nobili parole di Costantino XI sulla base delle note di tal Matteo, amico dell’autore della nota, il quale scorgerebbe evidentemente un’analogia tra la situazione del 1453 e quella odierna.
Premesso che i paragoni storici tra età e fatti diversi, alla ricerca di somiglianze e di analogie, non calzano mai, questo mi pare particolarmente maldestro. Ad ogni modo, ne sono chiari gli obiettivi polemici: da una parte la Chiesa cattolica (e non direi tutto l’Occidente) che “cavillerebbe” su “divorziati risposati” e “coppie omossessuali”; dall’altra la capitolazione, sembra d’intendere tanto dell’Occidente in genere quanto della Chiesa in particolare (ma il soggetto dell’ultima lapidaria frase non è chiaro), nei confronti dell’Islam jihadista.
Nell’assunto dell’autore della note e del suo “amico Matteo”, le aporie e le contraddizioni sono tante e tali che, francamente, non si sa da dove cominciare. La Costantinopoli del 1453 è paragonata all’Occidente d’oggi. I leaders politici e religiosi del quale discettano su cose come matrimonio e divorzio di futilità pari alle questioni teologico-formali che si sarebbero discusse allora. Ma, a parte il fatto che quella del famoso concilio nel quale si sarebbe dibattuto “sul sesso degli angeli” (e sulla posizione del Figlio accanto al trono del Padre) è solo una vecchia infondata chiacchiera – mentre le faccende relative a divorzio e matrimonio oggi sono parte del problema relativo alla crisi dell’istituzione portante della nostra società, la famiglia -, resta per aria il paragone con la fermezza di Costantino XI. A chi avvicinarlo? Il basileus di allora, in realtà, governava ormai solo quel che restava dell’antico impero bizantino, cioè solo la sia pur meravigliosa e popolosa capitale. Ma non era certo un responsabile politico di spicco nel mondo di allora, il cui atteggiamento andrebbe proposto ad esempio oggi: mancano i valori proporzionali che renderebbero plausibile il confronto. Nel presente, i leaders mondiali accordano di fatto scarsa attenzione al califfato e allo stato islamico solo perché sanno bene quanto pretestuosi ne siano le basi e il raggio d’azione: anzi, perché sanno bene che cosa essi siano in realtà. Tanto meno regge il paragone implicito istituito tra un protagonista della storia mondiale come Mehmed II, il conquistatore di Costantinopoli, e il califfo al-Baghdadi che è e resta solo una pedina in un gioco ben più grande di lui.
Anzi, l’intero rapporto istituito dall’articolista e dal suo “amico Matteo” tra la metà del Quattrocento e oggi rischia di rivolgersi contro le intenzioni di coloro che lo hanno proposto. Nel 1453 Costantinopoli (ch’era ben più importante, almeno simbolicamente, di qualche città siriana o irakena) fu veramente conquistata, e l’impero bizantino fagocitato dalla potenza ottomana che si configurava come la più temibile al mondo. Lo “stato islamico” oggi riveste forse pari importanza rispetto alle potenze che oggi guidano il pianeta? Rischia davvero di travolgerle? Vogliamo scherzare?
Ma continuiamo con il paragone sballato. Che cosa fece, allora, l’Occidente? L’articolista e il suo “amico Matteo” non ce lo dicono, ma ci lasciano intendere che reagirono eccome: tanto è vero che concludono con l’amaro “Oggi capitolano”. Però, l’unico esempio che sono in grado di addurre come prova di quella reazione di allora consiste nella dignitosa risposta del basileus, implicitamente contraddetta peraltro dai suoi teologi che a dire dell’articolista alla vigilia del crollo finale discutevano di futilità pseudo-teologiche. Ma gli altri, l’Occidente di allora? L’imperatore romano-germanico, il re di Francia, quello d’Inghilterra, quelli di Castiglia e d’Aragona, quello di Napoli, le repubbliche di Genova, di Venezia e di Firenze, i Gonzaga di Mantova, gli Este di Ferrara? Nulla, assolutamente nulla: non si mossero. Ci fu qualche appello alla crociata, poi le cose ricominciarono come prima e tanto i politici quanto i mercanti europei fecero a gara ad allacciare rapporti amichevoli con il conquistatore musulmano di Costantinopoli. “Oggi capitolano”, commenta l’articolista: perché, gli europei cristiani del Quattrocento fecero qualcosa di diverso, dinanzi a una potenza islamica ch’era davvero dotata di una forza imparagonabile con tutte quelle odierne dello stesso tipo messe insieme? L’articolista lo spiega senza volerlo e magari senza saperlo: continuarono a farsi i fatti loro, quelli che davvero li interessavano: come la “guerra dei Cent’Anni”, quella per la successione del ducato di Milano, quella per l’egemonia nella penisola iberica, nonché i loro traffici e le loro transazioni finanziarie di entrambi i quali “il Turco” fu immediatamente messo a parte. E sì che il papa chiamava pur alla crociata: e il suo appello, sull’Europa cristiana di allora, era di ben altra forza di quella che può avere sull’Occidente agnostico di oggi. I leaders dell’Occidente quattrocentesco dimostrarono che lo “scontro di civiltà” allora non esisteva: esattamente come non esiste adesso.
Ma c’è, oggi, un Costantino XI che valorosamente dichiara, per quanto sappia di dover soccombere, di non aver intenzione di capitolare? Sì, è evidente: gli unici che combattono il califfo e lo “stato islamico” sono i curdi, sunniti, e quel che resta delle forze regolari siriane lealiste dove fianco a fianco si battono cittadini sunniti, sciiti, alawiti e cristiani fedeli al legittimo presidente Assad e vicini alla repubblica islamica sciita dell’Iran. Senonché i curdi e Assad sono appunto quelli che il presidente turco, capo di un partito dove i criptojihadisti abbondano e fedele alleato dell’Occidente, vorrebbe battere definitivamente, e anche per questo si guarda bene dall’impegnarsi sul serio contro lo “stato islamico”; mentre il premier israeliano Nethanyahu dichiara seraficamente che i due principali nemici del suo paese e dell’Occidente sono il califfo al-Baghdadi e l’Iran mettendoli entrambi sullo stesso piano e fingendo d’ignorare che si tratta di due forze inesorabilmente nemiche fra loro.
E allora, gli jihadisti dello “stato islamico” di oggi, che sono gli amici e in molti casi le stesse persone che hanno combattuto in Libia contro Gheddafi e in Siria contro Assad (in entrambi i casi appoggiati dal francese Hollande e dall’inglese Cameron), e che sono stati finanziati e armati dai principi sunniti della penisola arabica che adesso li bombardano (con parsimonia) mentre Nethanyahu contro di loro non si muove, danno proprio l’impressione di essere non già gli avversari, bensì gli alleati obiettivi dell’Occidente, dal momento che tutti gli alleati di esso nel Vicino Oriente – dichiarazioni a parte – li appoggiano, li sostengono o quanto meno li tollerano. E non uccidono o islamizzano secondo la confessione sunnita da loro riveduta e corretta (basta vedere come manipolano la disciplina sharaitica relativa ai popoli dhimmi) solo i cristiani abitanti “dell’antico Patriarcato di Antiochia”, come sembra credere l’articolista del “Foglio”, bensì anche i musulmani sciiti e gli yezidi.
“Pensata” (si fa per dire) per mostrare quanto temibile sia la minaccia dei “fanatici del Corano” oggi, la nota del “Foglio” approda quindi, al contrario, a involontariamente sottolineare la verità: vale a dire che i problemi suscitati dal nuovo “pericolo islamico” – al di là di certi gravi e sanguinosi fatti – sul piano della politica mondiale sono poca cosa se non addirittura un bluff, una cortina fumogena originata molto probabilmente dalla volontà degli emiri della penisola arabica per ridefinire a loro vantaggio gli equilibri vicino-orientali consentendo una nuova sistemazione del dispositivo militare d’occupazione tra Siria e Iraq e proseguire la loro fitna antisciita e antiraniana spostandola il più possibile vicino alla linea di confine di Teheran. Il paragone con quell’evento epocale che fu la caduta di Costantinopoli, se proprio vogliamo scomodare la storia come fa l’articolista del “Foglio”, va ricercato altrove.
C’è difatti poco da ironizzare sul divorzio e sul matrimonio omosessuale, trattandoli come se fossero inezie. E’ invece proprio a sintomi come questi – l’instabilità della famiglia in quanto aspetto della profonda malattia morale e culturale da cui l’Occidente è affetto – che si deve guardare se si vogliono comprendere i pericoli del mondo odierno. Un mondo messo in pericolo dagli antivalori che hanno troppo a lungo trionfato: come l’individualismo, il consumismo, il primato dell’economico e la dittatura delle lobbies finanziarie e del “blocco” industriale-militare. Altro che la minaccia del pur truculento al-Baghdadi, che resta quel che è: la pedina di alcuni poteri sunniti alleati dell’Occidente e impegnati nella fitna antisciita, il pretesto per consentire agli Stati Uniti e alla coalizione dei loro alleati-complici di ridefinire le loro posizioni strategiche nel Vicino Oriente compromesse dalle fallimentari campagne irakena e afghana del decennio scorso e di installare il più possibile vicino alla frontiera iraniana le loro basi con tanto di bei missili nucleari. Chi ha armato e finanziato al-Baghdadi, se non alcuni emirati? Chi in un modo o nell’altro li appoggia sperando che egli indebolisca i curdi e Assad, se non il turco Erdoğan? E non sono forse loro, gli emiri e il premier turco, i principali alleati dell’Occidente? E non basta tutto ciò a far sospettare che un filo tenace di alleanze e di connivenze corra tra occidentali, potenze sunnite e stato islamico? Altro che discettare su quattro sbomballati europei o americani che si sono fatti di falso Islam e sono accorsi a combattere sotto la bandiera nera del califfo esattamente come una quarantina di anni fa quelli del magic bus andavano a Kathmandu per farsi d’“erba”; e cercar di farci credere che il vero “Male assoluto” dell’Occidente consista nel loro marginale delirio.
Quel che bisognerebbe dunque chiedere all’articolista del “Foglio”, al suo “amico Matteo”, e a chi sragiona come loro, è chi sia davvero che sta oggi capitolando, e davanti a chi, e perché. E chi mai stia massacrando e perseguitando i cristiani orientali (e i curdi, e gli sciiti, e gli yezidi), se non gli alleati stessi di quelle potenze che, mantenendo la loro pressione militare sui popoli del Vicino e del medio Oriente e appoggiando le lobbies multinazionali, umiliano e affamano i cinque sesti del mondo intero e sono le autentiche cause ultime dello stesso fanatismo religioso che è nato come protesta ai loro soprusi politici ed economici. Quelle potenze al servizio dei quali stanno anche i chief executive officiers che gestiscono e finanziano la stampa occidentale schierata su posizioni indiscriminatamente e pregiudizialmente antimusulmane. Al solito, quando si marcia contro il nemico sarebbe bene sincerarsi prima che il nemico non marci alla nostra testa.
Franco Cardini