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Perchè i cristiani? di F. Cardini

5 Giugno 2014
in Articoli

Domenica 18 maggio 2014
Quinta Domenica di Pasqua

In un mondo che gronda violenza, sembra tuttavia che i cristiani (e forse, anche se non solo, in special modo i cattolici) siano vittime di attacchi che li riguardano specificamente, cioè in quanto tali. Molti casi recenti e meno recenti, ma anche recentissimi, propongono i cristiani come vittime designate, specie nei continenti asiatico e africano. Prendiamo il caso delle ragazze nigeriane che il gruppo terroristico musulmano Boko Haram intende vendere come schiave o convertire per forza. O quello dei religiosi missionari, o semplicemente testimoni di pace, uccisi.

Al riguardo è inutile darsi alla macabra computisteria funebre e cercar di stabilire se al giorno d’oggi muoiano nel mondo più innocenti di religione cristiana o musulmana o altro: il punto non è affatto quello. Né si vuole qui spiegar tutto con il principio secondo il quale i cristiani offrirebbero l’altra guancia: in Asia e soprattutto in Africa, dal Libano alla Nigeria, casi di cristiani che reagiscono anche armati ce ne sono eccome. Nella storia fino al Sette-Ottocento, le Chiese e i gruppi cristiani erano tutt’altro che disarmati: e, se talvolta sono stati perseguitati, non sono mancati i casi in cui sono stati anche persecutori eccome. Dall’imperatore Teodosio alla fine del IV secolo d.C. fino ai cattolici e ai protestanti gli uni contro gli altri armati dall’inizio della Riforma fino alla guerra dei Trent’Anni del 1618-1648, alle guerre stuardiste nella Scozia primo settecentesca, alle insorgenze antigiacobine e antibonapartiste tra Vandea, Spagna, Italia e Tirolo fino al Messico degli Anni Venti, alla Spagna degli Anni Trenta e al Libano della fine del secolo scorso e ancor oggi cristiani al potere che perseguitano gli avversari o cristiani in armi contro i loro nemici se ne sono visti eccome.

Ma oggi il panorama è diverso. E il punto è capire perché tutto ciò non faccia notizia o ne faccia troppo poca, specie nei paesi a maggioranza cattolica o statisticamente tale. In altri termini: perché il cristianesimo è diventato l’unica religione che si possa attaccare impunemente? Perché l’anticristianesimo è rimasto l’unico pregiudizio accettabile? Perché da noi ci si scandalizza degli eventuali attacchi (magari sotto forma di semplici barzellette) contro il profeta Muhammad o contro il Corano o di muri di sinagoghe imbrattati, mentre i casi di bestemmie e d’insulti contro il cristianesimo o, peggio, di chiese bruciate, di religiosi uccisi, di ragazze cristiane sequestrate dai fondamentalisti musulmani, di quartieri cristiani presi di mira da induisti o di chiese deturpate da scritte ingiuriose com’è accaduto di recente in Israele provocano al massimo qualche debole protesta di gruppi minoritari o una peraltro sempre autorevole denunzia del papa nell’Angelus domenicale?

La questione va storicamente inquadrata a due livelli: il primo interno a quello che siamo soliti definire il nostro Occidente moderno; il secondo relativo ai rapporti tra essi e le altre culture.

Al primo livello, c’è una cosa di cui dobbiamo renderci conto: noi abbiamo cessato di essere almeno da più di due secoli una Cristianità: vale a dire una società che si fonda sulla fede cristiana (sia pure scandita in differenti confessioni) per tutti gli aspetti della sua vita pubblica e privata. La nostra politica, la nostra economia, la nostra estetica, il nostro diritto, la nostra scienza non sono più ispirate ai valori cristiani: almeno dal Duecento, con più forza poi dal Quattro-Settecento, si è avviato il cosiddetto processo di secolarizzazione, che ha conosciuto episodi di semplice sganciamento dalla fede cristiana e dalla Chiese storiche ed episodi addirittura di vero e proprio anticlericalismo o anticristianesimo: e che, per molti di noi, hanno coinciso con la progressiva acquisizione della libertà di coscienza e di pensiero. Nel nostro mondo, nel quale i cristiani possono a livello individuale e privato essere anche moltissimi ma nel quale il cristianesimo non è più civicamente e intellettualmente ritenuto un valore fondante, è evidente che i cristiani possono costituire il più o meno facile obiettivo di discredito e anche di violenze senza che nessuno si levi in loro difesa.

Quanto alle altre culture (e questo vale soprattutto per i musulmani, e oggi principalmente in Africa; vale anche per gli induisti nel subcontinente indiano; il caso degli ebrei, sia d’Israele sia della diaspora, è differente e andrebbe trattato a parte), la questione di fondo è dolorosa, ma ohimè anche semplice. Un Occidente in progressivo corso di secolarizzazione, tra Cinque e Ottocento, ha soggiogato il mondo; esso stava discostandosi al suo interno dai valori cristiani, ma esternamente proponeva il cristianesimo come uno dei suoi connotati di fondo, e sovente la penetrazione e la conquista coloniali andavano di pari passo con l’impianto di missioni religiose. Che esse svolgessero anche una benemerita attività umanitaria, spesso riconosciuta dagli stessi nativi, e che talora i missionari addirittura facessero causa comune con essi contro i maltrattamenti di schiavisti o di sfruttatori, non toglieva che il cristianesimo fosse visto come uno dei volti dell’oppressione coloniale.

Questo pregiudizio ha avuto una vita molto lunga; e di recente ha conosciuto un triste revival in quanto rivendicato dai vari movimenti fondamentalisti. D’altronde, finché essi agivano in una direzione indiscriminatamente antioccidentale, com’è accaduto più o meno fino a qualche anno fa, il fronte era quanto meno chiaro: ricordate i discorsi di Bin Laden contro i crociati? Ma da alcuni anni, grazie soprattutto alla mediazione saudita, alcuni gruppi fondamentalisti (lo si è visto in Libia e poi in Siria) hanno agito di concerto con le potenze occidentali: e allora la cosa si è ulteriormente ingarbugliata.

Usciremo da questo groviglio di malintesi? È difficile. Per farlo, comunque, è necessario cominciar a capire e a spiegare agli altri due cose: primo, non è strano che i cristiani vengano perseguitati nel mondo dal momento che la persecuzione, o quanto meno l’emarginazione, sono cominciate proprio da noi in Europa. Secondo: le intenzioni delle Chiese cristiane, che pur hanno accettato di essere presenti alle varie fasi della conquista occidentale del mondo, non sono mai state funzionali a quella conquista, per quanto casi di complicità o di connivenza possano essersi verificati. L’attuale stato di debolezza, che espone unilateralmente i cristiani, deriva da un lato dal diffuso pregiudizio presente in altre culture a proposito della solidarietàtra cristianesimo e oppressione coloniale (o postcoloniale, o neocoloniale), dall’altro dal fatto che la nostra società occidentale postcristiana e laica ama talvolta assumere surrettizie vesti cristiane rivendicandone verso l’esterno quei valori che, all’interno, ha rinnegato, ma ciò nondimeno lascia isolate le comunità cristiane colpite nei confronti dei quali non può né sa né vuol assumere alcuna responsabilità di tutela. I missionari, i religiosi, le suore, i medici, gli infermieri e i volontari cristiani pagano le colpe dei governi neocolonialisti e delle lobbies da essi sostenute; e pagano per le forme di sfruttamento e di speculazione che di tali forme di sostegno rappresentano il lauto guadagno. I colpevoli continuano a ingrassarsi; gli innocenti ne pagano il fio.

Esser consapevoli di tutto ciò non servirà di per sé a mettere fine alle violenze: ma servirà a situarle nel loro più preciso contesto storico e quindi a denunziarle e a combatterle più efficacemente.

Franco Cardini

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