Per giudicare l’Italicum, il nuovo sistema elettorale varato a sostituzione del deprecato Porcellum dal duo Renzi-Berlusconi, vanno lasciate da parte sia la simpatia che molti sembrano provare per l’attivismo politico-giovanilista del primo, sia l’antica avversione para-giudiziaria per il secondo.
Un esame obiettivo del sistema elettorale proposto (lasciando cioè da parte l’abolizione del Senato elettivo, che d’altronde richiede una legge costituzionale) identifica l’Italicum come un semplice restyling del Porcellum, col quale d’altronde condivide l’obiettivo finale di assicurare la governabilità del paese togliendo peso ai piccoli partiti e attribuendo la vera rappresentanza del popolo sovrano ai due gruppi più grossi, chiamati a esercitare in via tendenzialmente esclusiva le funzioni di governo e di opposizione (il duo Renzi-Berlusconi non ha tenuto conto dell’attuale realtà politica caratterizzata in senso non bi- ma tripolare da tre formazioni partitiche di consistenza pressoché equivalente; evidentemente si conta sulla sparizione o forte ridimensionamento dei “grillini”).
In concreto l’Italicum, col richiedere per l’attribuzione del premio di maggioranza che il partito o la coalizione di partiti raggiunga almeno il 35% dei suffragi, si adegua, in prima battuta, alla critica di fondo mossa al Porcellum dalla sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale. Questa ha, difatti, bocciato disposizioni che “non impongono il raggiungimento di una soglia minima di voti alla lista (o coalizione di liste) di maggioranza relativa dei voti, e ad essa assegnano automaticamente un numero anche molto elevato di seggi, tale da trasformare, in ipotesi, una formazione che ha conseguito una percentuale pur molto ridotta di suffragi in quella che raggiunge la maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea”.
In realtà già in prima battuta il premio in seggi suppletivi previsto dall’Italicum è tutt’altro che modesto (fino al 18%), ma può divenire enorme in caso di ballottaggio fra i due primi partiti o coalizioni, che potrebbero anche avere conseguito in prima battuta un numero di suffragi di poco superiore a quelli del terzo e del quarto classificato (per le coalizioni la soglia di sbarramento è al 12%, sicché potrebbero aversi più liste con suffragi tutti di poco superiori a questo limite). E’ vero che l’attribuzione del premio non è più automatica, ma resta il dubbio se il ballottaggio fra due partiti entrambi con modesto seguito elettorale non comporti comunque (per usare le parole della Corte) una “compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare incompatibile con i principi costituzionali”.
L’Italicum poi (ed è probabilmente il difetto maggiore ai fini di quella sicura governabilità che giustifica l’attribuzione di un premio di maggioranza) ammette, come il Porcellum, le coalizioni anzi le favorisce differenziando la soglia di sbarramento al 5% per i partiti in coalizione e all’8% per gli altri. Al contrario, l’ordinanza di rimessione della Corte di Cassazione criticava il Porcellum anche perché consentiva “il raggiungimento di accordi tra le liste al solo fine di accedere al premio senza scongiurare il rischio che anche immediatamente dopo le elezioni la coalizione beneficiaria del premio possa sciogliersi o uno o più partiti che ne facciano parte escano dalla stessa” (come, difatti, è puntualmente avvenuto sia a sinistra che a destra). Anche qui è vero che la Corte costituzionale, pur dichiarando fondate le eccezioni di incostituzionalità della Cassazione, non ha vietato le coalizioni fra partiti (anzi più volte menzionate), ma non ha espressamente dichiarata infondato l’assunto della Cassazione. I giuristi diranno che si tratta di una reiezione implicita, ma resta il fatto che nulla garantisce che, una volta conseguito il premio, la coalizione si sciolga e i partiti che la compongono se ne vadano ciascuno per la propria strada.
Infine l’ostinazione nel negare agli elettori il voto di preferenza, malamente giustificata col minor numero di elettori per circoscrizione elettorale (ma 500.000 non sono poi tanto pochi) e con liste di candidati di 4-6 nomi, si spiega solo con la volontà degli apparati di partito di mantenere la scelta degli eletti “sicuri”.
Francesco Mario Agnoli