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PAPA FRANCESCO AD ASSISI, 4 OTTOBRE 2013. UNA RIFLESSIONE. di F. Cardini

6 Ottobre 2013
in Articoli

Firenze, 5.10.2013.

 

La visita di papa Francesco ad Assisi  si è svolta come ci aspettavamo. Può darsi che l’affluenza dei fedeli (e dei turisti, e dei curiosi ecc.) sia stata più o meno largamente superiore alla media, ma non è questo il punto. Di lodi e di celebrazioni, questo pontefice ne ha già avute fin troppe: tante da far dubitare che, in realtà, non tutti abbiano ancora capito che cosa sul serio sta succedendo nella Chiesa: e soprattutto che cosa – nella Chiesa, alla Chiesa, allo stesso Jorge Mario Bergoglio – potrebbe accadere.

Proviamo tanto per cominciare a ricordar qualcosa, in questo mondo di smemorati. Per quanto mi riguarda, fino dall’inizio io non nascosi la diffidenza per questo papa-gesuita che assumeva ponendosi a capo di un’istituzione come la Chiesa il nome del Povero d’Assisi,  uno che alle istituzioni era profondamente allergico ancorché a quella ecclesiale fosse incrollabilmente (ma anche dolorosamente) fedele. Era una sfida troppo grande e troppo grave per apparire credibile: al massimo, si poteva accordare fiducia nella buonafede di Bergoglio.

Poi, dopo alcune settimane di dichiarazioni che potevano quasi parere scontate, quando qualcuno cominciava a dar segni di stanchezza dinanzi alle reiterate scelte di umiltà e di quotidianità e a quegli atteggiamenti che furono definiti “da buon parroco di campagna”,   papa Francesco ha cominciato a mostrare quella grinta che al suo paese, l’Argentina, tutti ben conoscevano.  E ha intrapreso sul serio la via delle riforme. Perché la storia della Chiesa è tutta una storia di riforme: reformare deformata, e la primitiva forma è quella del Vangelo e di quella Chiesa dei primissimi tempi evangelici della quale conosciamo solo due o tre righe degli Atti degli Apostoli. Legioni di santi, di mistici, di utopisti e di eretici (anche loro: spesso soprattutto loro…) hanno sognato la reforma, il ritorno alla Ecclesiae primitiva forma. Vogliamo parlare di eterna contesa tra càrisma evangelico e istituzione costantiniana?  Sia pure: ma anche questo è uno schema. Riforma dell’XI secolo, poi ancora riforma innocenziana; e quindi quella che nel sentir comune e nella storia manualistica è stata la Riforma per eccellenza, quella “protestante”; e ancora la Controriforma, che non senza buone ragioni  è ancora da qualcuno definita “Riforma cattolica”; e ancora l’ondata giansenistica e illuministica del XVIII secolo, in rapporto con il giurisdizionalismo dei Borbone, dei Braganza e degli Asburgo (vale a dire di tutte le dinastie regnanti sui paesi rimasti cattolici) ; e poi il tempo della restaurazione e dei concordati, il Vaticano I e l’infallibilità pontificia, e ancora la Rerum novarum cupiditas di Leone XIII , la tempesta della prima guerra mondiale e dei regimi totalitari, la seconda guerra e il secondo dopoguerra, la “teologia della Liberazione” il Vaticano II,  la caduta del sistema sovietica e l’effimero trionfo di quel sistema occidentalistica e liberal-liberista nel nome del quale Francis Fukuyama aveva salutato “la fine della storia”, e la nuova storia che invece comincia adesso, in tempi incerti e pericolosi.

L’espressione esplicita che qualcosa di nuovo era sul serio cominciata,  la manifestazione simbolica dei tempi nuovi della Chiesa e delle sfide che essa deve affrontare, papa Francesco l’ha data l’8 luglio scorso visitando i profughi e gli abitanti sedentari di Lampedusa. Non è certo il caso se i nemici della Chiesa – tutti: compresi i fanatici che si dicono suoi fedelissimi – si sono scandalizzati proprio confrontandosi con quella giornata.

E la conferma che quella sottolineata da papa Bergoglio a Lampedusa l’8 luglio è davvero il grande, il vero Bonum Certamen della Chiesa – perché si tratta ormai di battere definitivamente sul piano mondiale la Grande Apostasia, la Modernità individualista, materialista, usuraia, tirannica  e assassina, la decrepita Grande Prostituta che vive di lobbies e di droni,  di truffe finanziarie e di contractors – si è puntualmente, tragicamente presentata proprio mentre il papa si accingeva a suggellare, con la preghiera  dinanzi al Sepolcro del Povero di Assisi. Si è presentata in tutta la terribile forza ammonitrice della Maestà divina, nella tragedia del 3 ottobre in quello stesso mare che meno di tre mesi fa il pontefice aveva benedetto con la sua presenza e la sua parola.  I figli di Caino  hanno ucciso ancora:  e in un modo talmente immane, talmente orribile, da farci ripetere  una volta di più. Ma stavolta ci si augura sul serio che il Mai Più sia reale.

E allora, torniamo al messaaggio di Francesco d’Assisi cui il papa tanto tiene.

Lo confesso, I have a dream. Tutti ne hanno uno: perché non anch’io?

Il mio sogno è svegliarmi una mattina e poter leggere a caratteri cubitali, sulla muraglia candida di un grande edificio del centro cittadino, un colossale Abbasso san Francesco. Oppure veder e sentire in TV un grande attore, un celebre opinion maker, un venerato intellettuale, una rock star gridare: “Non ne posso più di san Francescoooooo!!!!!…….!”.

Perché? Non certo perché io detesti il Povero d’Assisi. Anzi, lo amo e lo venero con tutta l’anima. Mi è anche molto simpatico. In più, è perfino il mio personale patrono.

Solo che non ce la faccio più a reggere tutto questo unanimismo, tutta questa melassa appiccicosa e ipocrita. Perché? Ma via, ragioniamo. Francesco Superstar, un Santo per Tutte le Stagioni: è proprio possibile che piaccia davvero a tutti? Che sia simpatico ai cattolici, ai protestanti, agli ebrei, ai musulmani, alle destre, alle sinistre, agli atei, ai fricchettoni, agli ecologisti, agli animalisti, a quelli del new age? Mesi fa, sembrò si aprisse uno spiraglio quando un politico magari un po’ troppo liberista osò affermar in TV di preferire a Francesco il padre Pietro Bernardone, usuraio e spietato con i poveri: lui sì che avrebbe fatto marciare l’economia. Finalmente!

Ma, in realtà, quella non era affatto una “voce fuori dal coro”. Era semmai un parere fin troppo conformistico: solo che era stato espresso con scarsa delicatezza, a voce alta. Lo sappiano o no, lo credano o meno, sono in molti per non dir quasi tutti a pensare così. Salvo quelli che proprio non hanno capito nulla o sono degli inguaribili ipocriti.

Su, coraggio, andiamo al sodo: al centro del problema.

Francesco è inattuale. Era già inattuale ai suoi tempi, nel primo Duecento dominato da una Chiesa grande e potente, da guerrieri violenti e da accorti e avidi mercanti. Egli avrebbe potuto appartenere ad almeno una di queste categorie. Non volle farlo. Questo ragazzaccio viziato, donnaiolo, che sognava la gloria cavalleresca e aveva paura solo dei lebbrosi, alla fine andò incontro alla più difficile delle avventure. Volle farsi povero e nudo come il Cristo sulla croce. Volle conoscere la fame, il freddo, le umiliazioni che sono l’amaro pane quotidiano degli ultimi. Si ripete troppo spesso che sposò la Povertà, come lo presenta Dante Alighieri. Non basta. Noi diciamo “povero”, e pensiamo all’indigenza, alla mancanza di beni materiali. Ma Francesco rifiutò ogni sorta di ricchezza perché, radicalmente, disse “no” al potere: a qualunque forma di potere, comprese le forme spirituali e intellettuali di esso, che derivano dalla scienza e dalla cultura.

Francesco è stato uno splendido vinto, un glorioso perdente. Perché mai dovrebbe piacere oggi? Egli viveva un tempo duro e barbarico, ma nel quale esisteva ancora la Cristianità. Oggi viviamo in un tempo nel quale possono esserci al mondo anche due miliardi di persone che dicono di essere cristiani (e molti lo sono magari sul serio): ma la Cristianità è distrutta. Gli ideali e gli idoli del nostro Occidente moderno sono esattamente quel ch’egli aveva respinto: il danaro, il potere terreno, la volontà di potenza, la vanagloria dell’apparire. Non c’è nulla di più profondamente e radicalmente antifrancescano della nostra società dell’individualismo sfrenato, del benessere, dei consumi, del piacere, dei profitti, dello “spettacolo”. Forse un derviscio musulmano o un bonzo buddhista sarebbero in grado di comprenderlo sul serio, nel profondo: ben poco – a parte alcuni mistici e alcuni asceti – gli occidentali, credenti o atei che siano. Eppure, questo mondo agnostico ed edonista mostra di venerarlo e qua e là perfino di sceglierselo a simbolo.

Abbiamo mai provato a pensare ai suoi aspetti più sgradevoli? Eppure c’erano. Certamente puzzava, aveva le pulci e i pidocchi; e qualche volta sapeva perfino esser duro, come quando faceva punire corporalmente i frati indisciplinati dal “pugilatore di Firenze”, un energumeno suo seguace. E allora, perché dovrebbe piacerci? Ignoranza? Contraddizione? Paradosso? E che senso ha che piacesse a Nietzsche, a D’Annunzio, a Mussolini, a Gandhi, a Che Guevara? E magari, avete visto mai che piacesse anche a Bin Laden? E’ documentato che piacesse a Khomeini.

Ebbene, sì: arrendiamoci all’evidenza. Francesco è incomprensibile e insondabile. Ma è un segno di Dio. E’ quanto di più simile a Gesù Cristo sia mai comparso sulla terra. E il suo messaggio è limpido, inequivocabile. Oggi è giunto il tempo di tradurlo nella viva esperienza della Chiesa, di calarlo nella storia. Come dice lui stesso, nel suo “Testamento”: finché era nei peccati, troppo amara gli era la vista dei lebbrosi.  Poi la conversione, il risveglio: che è servizio agli Ultimi nel nome del Cristo, condivisione della povertà a immagine della Sua Passione. Trasvalutazione dei valori, rivolta contro il mondo moderno. Questa è la scelta. Ed oggi viviamo il tempo della scelta.

 

Franco Cardini

 

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