Vi sono considerazioni economiche dettate dal comune buon senso, come quella che a dispetto di qualunque riforma non si avrà ripresa se non si mette il mercato interno in condizione di fare risalire il livello degli acquisti. Poi vi sono le analisi più raffinate, dirette a scoprire le cause remote della crisi, tante, non tutte facili da discernere, e a proporre sofisticati rimedi in base ai principi generali della scienza economica, sui quali non regna però l’accordo. Oggi gli economisti si dividono in due scuole principali: i super-liberisti e i neo-keynesiani, ognuno con la propria ricetta. Una pattuglia più ridotta, in parte attribuibile al neo-keyneasianesimo, pone l’accento sui danni causati dal “signoraggio”. Al momento grazie all’appoggio dei politici e dei mass-media europeisti i super-liberisti non solo hanno nettamente la meglio quanto a consenso nell’opinione pubblica che conta, ma accusano i keynesiani di stantio socialismo e se la prendono in particolare con i teorici del signoraggio, accusati di essersi inventati la bufala di un fenomeno inesistente.
Eppure la questione del signoraggio, cioè del rapporto costi-ricavi connessi all’emissione di moneta e dei guadagni di chi detiene il relativo potere, e dei rapporti fra Stato e banche private quando in un modo o nell’altro sono queste a determinare i mezzi di pagamento e il volume e le modalità della loro circolazione è antico e risale al tardo Medioevo e al Rinascimento. All’epoca il problema venne a volte risolto d’autorità dai Sovrani col semplice rimedio di non pagare i debiti contratti con i banchieri, tuttavia non più (o difficilmente) praticabile col complicarsi e l’affinarsi dei meccanismi economico-sociali e il crescente condizionamento del potere dei Sovrani. La situazione ebbe il suo pieno sviluppo nel 1694 con la fondazione della Banca d’Inghilterra. Questa – scrive Carlo Marx (puntuale come storico dell’economia, un po’ meno come filosofo e profeta politico) – “cominciò col prestare il suo denaro al governo all’otto per cento, contemporaneamente era autorizzata dal parlamento a battere moneta con lo stesso capitale, tornando a prestarlo un’altra volta al pubblico in forma di banconote”. Insomma lo Stato (quindi tutti i cittadini, dato che a sua volta lo Stato i mezzi per pagare se li procura con le tasse) pagava e continua a pagare all’istituto di emissione gli interessi sulla moneta che questo gli presta, e il debito non si estingue mai, perché la moneta resta di proprietà dell’emittente.
Poco male finché l’istituto di emissione è di proprietà dello Stato, come in Italia dal 1936 al 1992, anche se una prima avvisaglia di quanto sarebbe accaduto si era avuta già nel 1981, quando con un semplice scambio di lettere fra Beniamino Andreatta, allora ministro del Tesoro del governo Spadolini, e Carlo Azeglio Ciampi, governatore della Banca d’Italia, quest’ultima venne separata dal Ministero del Tesoro. Procedimento concluso, appunto, nel 1992 con un decreto legge del governo Amato (forse per questo ancora di recente candidato alla carica di presidente della Repubblica), che privatizzò, insieme all’industria di Stato, anche la Banca d’Italia. Questa (come tutte le banche centrali dell’area euro) è oggi una Società per azioni di proprietà delle banche private (Intesa, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena ecc.). E’ ben vero che le banche nazionali non possono più emettere moneta, essendo stato il relativo potere attribuito in esclusiva alla Banca centrale europea, ma la situazione non è cambiata per gli Stati (e per i loro cittadini) dal momento che della Bce sono socie le banche centrali nazionali e, attraverso di loro, tutti i loro azionisti, cioè gli Istituti di credito degli Stati membri.
Allora è legittimo che gli economisti discutano degli effetti positivi o negativi del signoraggio e della sua influenza sulla crisi. Non altrettanto negarne l’esistenza o trascurarne i pericoli, già evidenziati, a cavallo fra XVIII e XIX secolo, da Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti d’America, e la sua drammatica previsione sullo sbocco finale: “Se il popolo americano permetterà mai alle banche private di controllare l’emissione del denaro… le banche e le compagnie che nasceranno loro intorno priveranno il popolo dei suoi beni finché i loro figli si ritroveranno senza neanche una casa sul continente che i loro padri hanno conquistato”.
Una profezia che sembra realizzarsi proprio nei tempi che stiamo vivendo e, assai più che in America (anch’essa a rischio, ma meglio protetta da un più efficiente apparato economico e da un sistema politico diversamente congegnato), in Europa e in Italia.
Francesco Mario Agnoli