Ormai non passa giorno che su qualunque quotidiano, rivista, sito web vengano lanciati appelli a “rifare la Destra”, come se la Politica dovesse occuparsi di tale questione completamente irrilevante per il bene del popolo.
Dovrebbe essere infatti abbastanza noto che compito della Politica è quello di garantire il Bene Comune, e dunque operare scelte che rispondano, nel pieno rispetto dell’universale Diritto Naturale, a criteri equitativi di Giustizia.
Che queste scelte, nella ricaduta pratica e quotidiana, possano poi essere etichettate come di “destra”, di “centro” o di “sinistra”, è faccenda che può riguardare, per mero esercizio intellettuale, politologi e filosofi della politica, ma non certo coloro che provvedimenti, misure, situazioni si trovano a viverli ogni giorno sulla propria pelle, ossia i cittadini.
Del resto, desta una certa meraviglia come certi ambienti, che in passato hanno sempre rivendicato un’ansia di superamento di vecchie categorie relative alla geografia parlamentare settecentesca, oggi siano i primi a desiderare un recinto ben definito su cui mettere in bella mostra il cartello “qui giace la vera destra”.
La verità è che la storia ha sancito il fallimento completo, inequivocabile, totale di una classe dirigente che – provenendo dal Movimento Sociale Italiano – si è trovata al Governo dell’Italia sotto le sembianze di Alleanza Nazionale.
Classe dirigente premiata dall’elettorato con iniezioni notevoli di fiducia, senza che però sia stata in grado di realizzare e/o di pensare alcunché, e questo per ragioni molteplici che vanno dalla pochezza culturale, al bisogno di rinchiudersi in slogan e parole d’ordine, fino al leaderismo viscerale.
Ed oggi, dunque, quella stessa classe dirigente evoca con formule che sanno più di requiem per un defunto, la riesumazione di un luogo cadaverico in cui andare a rintanarsi per riavere, magari, qualche piccola posizione di potere che, comunque, resterebbe totalmente ininfluente per il Paese.
Sebbene questi signori possano subirne il trauma, va spiegato che – sempre e comunque nell’inutilità delle categorie geografiche della politica – la Destra politica, in Italia, è stata incarnata vuoi dalla Democrazia Cristiana, vuoi da Forza Italia, vuoi dalla Lega Nord, e persino dai movimenti populisti che di volta in volta hanno assunto diverse sembianze.
L’MSI prima – AN poi, hanno soltanto rappresentato una parte, minoritaria e certamente non la migliore, del complesso universo delle destre politiche italiane.
E dunque, è chiaro che la Destra, nella sua accezione ampia e plurale, non è affatto morta: oggi più che mai essa è incarnata da soggetti e stili che comunque non hanno nulla a che spartire con l’universo post-missino. E’ d’altronde quest’ultimo un ambiente che, ancora oggi, necessita di rifarsi a cose e persone del secolo scorso per affermare ancora di esistere, senza rendersi conto che non è stato “mandato al Governo” per ricordare i “propri” morti, per innalzare la bandiera del nazionalismo giacobino, per urlare slogan “legge e ordine” in stile italietta liberale, ma per dare opportunità nuove, identitarie e popolari all’Italia dal punto di vista dell’Istruzione, del Welfare, dell’Economia, della Cultura, dell’Industria, dell’Agricoltura, del Turismo…
A volerla dire tutta, però, il problema drammatico è che nella politica italiana questi discorsi sul “rifare” un “luogo”, si ripetono non solo a “destra”, ma anche altrove: il sogno di “rifare il grande centro” torna con costanza almeno dalla fine della prima repubblica, con i risultati che sono noti a tutti.
Così come l’idea della costruzione di una sinistra alternativa al PD, una “vera sinistra”, è un progetto che viene tirato in ballo ad ogni giro elettorale.
La verità è che le classi dirigenti che guidano questo Paese sono vecchie dal punto di vista intellettivo, questione che non ha nulla a che vedere con l’età fisica: i politici attuali, infatti, non sono più in grado di avere grandi visioni innovative, progettualità e idee per incidere nella realtà e lasciare traccia nella storia, e per questo si rifugiano in schemi superati, inutili e persino dannosi, ma che garantiscono agli “eletti” rendite di posizione in una sorta di gioco delle parti.
E così, se da un lato ci sono i poveretti nostalgici di AN, del MSI e di Almirante – ma persino del Risorgimento (sic!) – dall’altro ci sono i nostalgici del PDS, se non proprio del vecchio PCI di Berlinguer o anche di Togliatti (che mai avrebbe ceduto ai radicali sui temi etici, avendo il vecchio PCI una “morale” conservatrice…). Per non parlare degli eterni maniaci della DC, coloro che si definiscono “moderati” senza sapere che il moderatismo non è una definizione di valore, ma di metodo, che citano De Gasperi a sproposito e che spesso agiscono senza aver mai letto nulla della Dottrina Cattolica (che è tutto, fuorché “moderata”…) e che pur dicono di voler attualizzare…
C’è via d’uscita? C’è sempre una via d’uscita, ed in questo caso passa, come sempre, attraverso il realismo, ossia per mezzo di scelte concrete basate sulla realizzazione dei valori e sull’analisi della realtà, isolando e tacciando come nostalgici e dannosi tutti coloro che richiamano schemi superati, slogan deleteri e presunzioni di “purezza” che nascondono ben altre intenzioni.
E’ indubbio che l’attuale sia una fase di transizione, ma le carte iniziano a rimescolarsi, e ben presto qualcosa di nuovo apparirà all’orizzonte. Intanto, chi ha a cuore i destini del proprio popolo, investa il suo tempo in formazione: non vi è altra strada per costruire un domani migliore. Perché ciò che tutti stiamo pagando come Popolo e come Paese, è l’incompetenza delle classi dirigenti, figlia anche dell’assurda idea che non serve conoscere e saper fare, basta prendere i voti e vincere le elezioni…