A poche ore dalle prime votazioni per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, continua ad imperversare fra la società civile il dibattito su chi possa essere il candidato più adatto a sedere al Quirinale dopo Giorgio Napolitano.
Sino ad ora non si era mai registrato un simile interesse da parte dell’italiano medio nel seguire le vicende della nomina del capo dello Stato. Di certo i media, nella loro forma più partecipativa del web e dei social-network, hanno permesso di coinvolgere maggiormente i cittadini italiani, i quali da fantomatici allenatori della nazionale italiana, oggi si trasformano tutti in “grandi elettori”.
Tuttavia, prescindendo da simili giochini di società, emerge prepotente un dato assolutamente da non trascurare. Sembra ormai evidente come anche fra la società civile, e persino tra i meno attenti alle vicende politiche, si stia pian piano acquisendo la consapevolezza della sempre maggiore importanza e rilevanza della figura del capo dello Stato all’interno del sistema politico italiano.
Per anni la carica del presidente della Repubblica è stata concepita in un’ottica di garanzia e tutela della stabilità delle parti politiche e di quelle sociali del Paese. Una figura che assicurasse il bilanciamento responsabile di situazioni non sempre caratterizzate da saldi equilibri, sulla base di un’autorità rintracciata in, quello che veniva considerato, un trascorso politico di spicco.
Tale modo di concepire il ruolo del capo dello Stato è durato per tutta la Prima Repubblica, sino a quando Tangentopoli, e la crisi dei partiti seguente, non ne hanno fisiologicamente mutato compiti e funzioni.
Del sistema bipolare che si andava costituendo, il presidente della Repubblica ne divenne non solo il principale garante ma l’arbitro fondamentale nella ricomposizione di contrasti interni ed esterni agli opposti schieramenti, nella risoluzione delle crisi di governo, sino ad assumere tratti sempre più forti di indirizzo politico.
Oggi, crollato il bipolarismo, in assenza di quei corpi intermedi che erano i partiti, la struttura politica del Paese vive una situazione di stallo che ha condotto a un drammatico vuoto decisionale, che solo il capo dello Stato ha potuto istituzionalmente colmare.
Questo conduce ad una improrogabile considerazione per cui la struttura di governo del nostro Paese debba essere necessariamente cambiata. Il parlamentarismo, affetto oramai fino all’osso dal morbo del consociativismo, e unito a un insensato bicameralismo perfetto ha condotto a un insanabile situazione di impasse della politica, che non è di certo superabile da una legge elettorale.
Ecco perché, l’elezione del capo dello Stato e l’attenzione che è riuscita a catalizzare, devono condurre alla consapevolezza della necessità di rivoluzionare il sistema politico italiano, partendo proprio dalla propria forma di governo.
Uno dei fondamentali motivi – si badi bene, non il principale – della crisi economico-finanziaria del nostro Paese va rintracciata proprio nell’instabilità dell’impianto costituzionale repubblicano, nelle sue lungaggini, nei suoi tira-e-molla, che nei migliori dei casi finiscono per dare vita a stiracchiate “leggiucole” sempre in ritardo coi tempi, nei peggiori – invece – con un nulla di fatto.
La realtà odierna vede la necessità ed il dovere di permettere ai cittadini di intervenire direttamente nell’elezione del capo del governo che, a prescindere dal modello presidenziale o semipresidenziale, si ponga come leader all’interno del sistema nazionale ed interlocutore autorevole a livello internazionale. Ciò, alla luce – soprattutto – del contesto oramai sempre più sovranazionale delle vicende politiche, ci impone di dotarci di uno spirito decisionista, di schimittiana memoria.
Claudio Giovannico