
La più bella via di Roma. Forse, un tempo certo lo era, via Giulia.
Nel Medio Evo la via si chiamava magistralis in quanto ritenuta una “via maestra”. Sisto IV, nel piano di riorganizzazione della città del 1478, la ristrutturò denominandola “mercatoria” perché collegava la zona finanziaria di Piazza di Ponte Sant’Angelo con i mercati di Campo de’ Fiori e di piazza Navona. Ma soltanto nel 1508 Giulio II della Rovere approvò il progetto del Bramante, e nacque la prima e la più lunga strada di Roma a tracciato rettilineo – tanto che fu chiamata anche via Recta – denominata “strada Julia” proprio dal nome del pontefice.
Essa corre da Ponte Sisto alla chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, parallela al corso del Tevere. Ponte Sisto, edificato su ordine di papa Sisto IV nel1475, è stato l’unico ponte sul Tevere ad essere costruito tra la caduta dell’Impero ed il XIX secolo. Via Giulia divenne, in breve tempo, la via più alla moda con i nuovi edifici dei mercanti e banchieri e con la presenza della comunità fiorentina, con le sue case, le sue chiese, le sue confraternite.
Non è un caso se nelle sue prossimità si mossero le favolose gesta di un Benvenuto Cellini prima e del fantasmatico Marchese del Grillo dopo, tanto che egli è probabilmente sepolto nella prima cappella della navata di destra di San Giovanni de’ Fiorentini.
Così il savonese Della Rovere pur di affrancare il papato dalla dipendenza delle grandi famiglie romane, si rivolse ai banchieri toscani, in particolare ad Agostino Chigi giunto da poco in città da Siena. Pertanto il disegno dettagliato della strada fu fatto da Donato Bramante, che stava nel contempo lavorando alla nuova Basilica di San Pietro sull’altra sponda del fiume.
In tal modo si collegavano, allo stesso tempo, il porto fluviale di Ripa Grande e la nuova via della Lungara.
Lungo via Giulia perciò si schierarono i “blasoni” ed i gonfaloni più importanti dell’epoca: dai Sacchetti ai Ricci ed ai Chigi. Condivisa da due rioni, la lunga strada dall’estremità settentrionale di piazza dell’Oro fino all’incrocio con via delle Carceri e vicolo della Scimia, appartiene al rione Ponte; di qui fino all’estremità meridionale di piazza S.Vincenzo Pallotti appartiene al rione Regola. Questo per inquadrare in sintesi il luogo, anzi uno dei “luoghi dell’anima” non soltanto dell’Urbe ma patrimonio di tutto l’Orbe.
Ricordiamo come Antonio Cederna scrisse articoli di fuoco, poi riuniti nel famoso libro “I vandali in casa”, contro la speculazione immobiliare dell’Italia della ricostruzione. Questo avveniva quasi sessant’anni fa. Oggi continuano senza soste gli attacchi alla bellezza e della cultura delle città con difese ben più deboli a causa degli effetti nefasti dell’attività legislativa dell’ultimo ventennio che ha cancellato ogni regola di civile pianificazione.
Ora, a distanza di cinquecento anni, dopo secoli di inesausta ricchezza della via che ha visto crescere in sé chiese meravigliose e splendidi palazzi, tutti ricettacoli di opere d’arte senza pari, Via Giulia si trova in uno stato di deplorevole degrado ed abbandono.
Mentre gli amministratori comunali si succedono con i loro insulsi progetti relativi a faraonici quanto discutibili grattacieli o città dello sport, Via Giulia lentamente ma inesorabilmente muore.
Proprio lungo l’asse viario voluto da Giulio II nel 2008 è stato dato il via alla realizzazione di un parcheggio sotterraneo insistente anche su aree comunali. La decisione venne presa dall’allora sindaco Veltroni sulla base dei “poteri speciali” attribuitigli per risolvere l’”emergenza traffico”. Mentre nella restante Europa per risolvere i problemi del traffico si utilizzano le “procedure ordinarie” da noi un normale atto di governo diviene il pretesto per la richiesta di poteri straordinari, finendo per ottenere soltanto un perenne ingorgo, proprio a causa dell’improvvisazione degli interventi.
Come sarebbe stato logico attendersi – dal momento che Roma contemporanea poggia su un “sub strato” di quasi quattromila anni – la società che avrebbe dovuto costruire i parcheggi, si imbatte in importanti reperti archeologici di età romana, costituiti probabilmente dalle scuderie di Augusto.
Ora chiunque sa che scavare il sottosuolo romano comporta la quasi certezza di incontrare resti di civiltà passate. Gli scavi per la metropolitana ne sanno qualcosa. Quindi questo fatto prevede un “fermo” immediato dei lavori ed un intervento – che dovrebbe essere altrettanto immediato e definitivo – della soprintendenza alle Belle Arti e ai Beni Archeologici. Fatto che, assurdamente nel nostro paese, innesca una serie di procedure bizantine atte soltanto a rallentare lavori e decisioni in merito con conseguente perdita di tempo e denaro. Molto tempo e molto denaro.
In un altro paese che non fosse il nostro, l’amministrazione pubblica avrebbe fatto sì – già prevedendolo nei contratti di appalto – che i reperti rinvenuti venissero reintegrati con le strutture urbane circostanti e contemporanee. Perdendo così – ancora una volta – un’occasione per rendere più bella la città e un nuovo punto d’attrazione turistica. Del resto cosa possiamo aspettarci da uno stato che ogni giorno di più assiste alla scomparsa di Pompei, e da una Roma che non cura come dovrebbe la Domus Aurea e vede lo stesso Colosseo circondato da un recinto “per la sicurezza dei turisti” ma attorniato da venditori extracomunitirari di assurdi oggetti che nulla hanno a che vedere con l’età romana? Però ci si preoccupa dei cosiddetti “centurioni” quando sarebbe bastata un’ordinanza comunale – ed un po’ d’intelligenza – oltreché di cultura per trasformare dei “cirifischi” abusivi in una piccola risorsa per il Comune. Prendessero esempio da Londra che negli anni Ottanta ha trasformato quattro ridicoli ragazzini Punk in fonti d’introito per la città. Però si vorrebbero costruire alberghi a cinque stelle ed un urban center proprio tra il Lungotevere e Via Giulia. In questo modo, si sostiene, verranno tutelati e resi fruibili gli importanti reperti archeologici.
Di là dal fatto che l’utilizzo dell’aggettivo “fruibile” genera il voltastomaco pochè dei beni dello spirito non se ne fruisce ma semmai se ne gode, in tale modo i pubblici amministratori demandano tutto ai privati lasciando questi ultimi a decidere come e che cosa ricostruire. La Soprintendenza ha dato parere positivo dal settembre 2012 ma la popolazione romana viene a conoscenza del progetto soltanto nel febbraio scorso. Nessuno negli alti scranni comunali ha pensato che una questione così delicata ed importante dovesse essere sottoposta immediatamente a un serio dibattito culturale con gli esperti e con la popolazione. Giusto, era più importante e necessario preoccuparsi di fornire le abitazioni ai nomadi, complete di gas, acqua e luce gratuita.
Così Via Giulia muore, silenziosamente, con i suoi sampietrini sempre più divelti o malamente bloccati dal bitume, semiallagata quando piove, deserta di sera quando potrebbe essere una meravigliosa passeggiata nelle notti estive, con i negozi tristemente semiciechi e poco illuminati.
Non vi se vede più ormai neppure lo spettro del “sor Marchese” in giro a fare scherzi, non ha più voglia di ridere neppure lui quando dall’alto del suo palazzo guarda Roma.
Buonanotte popolo!