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Alvise da Mosto, l’avventurosa vita di un altro grande esploratore veneziano. di Nicola Bergamo

4 Febbraio 2013
in Articoli

Siamo alla fine del XV secolo. Venezia ha perso gran parte del suo impero coloniale, e lotta caparbiamente con il turco per mantenere saldo il controllo su Creta e su altre isole mediterranee. I commerci si stanno spostando dal Mediterraneo al nord Europa, l’Impero Ottomano blocca gli accessi alle spezie e alle risorse dell’Oriente. Si cercano quindi altri sbocchi, come le Fiandre, meta assai ambita e ricercata dei mercanti veneziani. Molte famiglie nobili stavano spostando i loro interessi verso i nuovi luoghi, tra queste vi erano i Da Mosto. I Da Mosto sono una famiglia nobile, probabilmente di origine lodigiana, che si era trasferita in laguna nel XI secolo ed era iscritta al patriziato veneziano sin dal 1297. Da molto erano nel ramo del commercio con ottimi risultati, almeno fino alla seconda metà del XV secolo.Uno dei giovani rampolli di questa famiglia divenne un grandissimo esploratore.
Ecco la sua storia!

Anno del signore 1429, Alvise, primogenito di Giovanni e di Elisabetta Querini, nasce a Venezia. E’ il primo di tre fratelli (Pietro e Antonio) e inizia a lavorare per gli interessi della famiglia già in tenera età. A 10 anni è già imbarcato, assieme al cugino Andrea Barbarigo. Dal 1442 al 1448 viaggia nel Mediterraneo, tra la Barbaria (ossia le terre del nord Africa occidentale) e Creta nella galea Alessandria. Diventa abilissimo nell’uso della balestra tanto da divenire nobile comandante dei “Fanti da Mar”. L’anno successivo parte finalmente per le Fiandre, il nuovo Eldorado, dove impara a navigare sull’oceano e a destreggiarsi in quei loghi. Al suo ritorno a Venezia trova una situazione tragica. Suo padre era stato bandito dalla Avogaria de Comun e cacciato dalla laguna. Alvise si trova così in grossi guai finanziari e, senza il padre, fuggito nel Ducato di Modena, e con i parenti da parte di madre, interessatissimi al cospicuo e ricco patrimonio familiare, si vede costretto a tentare la fortuna in qualche altro modo.Nell’agosto del 1454, assieme al fratello Antonio, si imbarca nella galea di Marco Zen, destinazione Fiandre. La rotta è facile, si passa il Mediterraneo, si esce dalla Colonne d’Ercole e si punta verso nord. La nave segue la rotta indicata, ma all’altezza del capo di San Vincenzo, nell’attuale Portogallo, è costretta all’attracco per via di una brutta tempesta. I Veneziani giungono nelle vicinanze della residenza estiva dell’infante di Portogallo, Enrico (chiamato poi il “navigatore), che accoglie loro con gioia e con ospitalità. Enrico è affascinato da Alvise. E’ giovane e baldanzoso, ma anche carico di odio verso il destino avverso. Il suo spirito avventuroso e l’animo del commerciante, vivono assieme in un quella giovane figura. Enrico offre così una nuova possibilità al rampollo Da Mosto. Mostra delle mercanzie che arrivano da terre appena scoperte, giusto al di là dell’Oceano, il veneziano rimane affascinato e i suoi occhi brillano. I suoi pensieri vanno alla grande avventura che lo aspetta, ma anche al grande ricavo che può fare vendendo le merci a Venezia. Se ce l’avesse fatta, avrebbe potuto recuperare i fasti della sua gloriosa famiglia. La sua espressione è chiara e l’infante di Portogallo ha capito di aver colpito nel segno. La proposta è semplice: ad Alvise viene offerta di guidare una spedizione portoghese verso le nuove terre inesplorate ed aprire nuove rotte commerciali. Il Da Mosto è così eccitato che scrive sul suo diario di essere “infiammato dal desiderio di visitare quelle terre e regioni di recente scoperta” e accetta di buon grado.

Il 22 marzo del 1455, Alvise, carico di emozioni contrastanti, parte dal porto di Lisbona. E’ finalmente capo di una sua spedizione e il suo spirito di avventura lo sprona a giungere verso i luoghi inesplorati. Il suo viaggio lo porta a visitare l’isola di Madeira, poi verso il caldo sud, ecco le isole vulcaniche delle Canarie, bellissime, ricche di vegetazione e di strani uccelli gialli. Poi da lì si sposta verso il continente africano dove entra nella foce del Senegal, sembra di tornare in laguna, tante è la sabbia e le spiagge che vede. Risalendo l’immenso braccio d’acqua, incontra pure la popolazione locale che si rivela essere gentile ed accogliente. Scambia con loro cavalli per schiavi, e rimane nel villaggio per un intero mese.

Annota, scrive, scopre, parla e ovviamente fa il mercante. Alvise si muove perfettamente nella sua nuova realtà e sente nuovamente padrone della sua vita, poi riparte nuovamente per l’Oceano. Da lì a poco incontra una spedizione portoghese, guidata da Antonio da Noli. Uno scambio di battute tra i due capitani e subito nasce un’amicizia legata ad una comunione di intenti. Decidono così di esplorare assieme altri luoghi, eccoli che scoprono il Golfo di Gorsa e poi l’importantissimo fiume Gambia (nell’odierno Senegal). Tentano assieme di risalire il fiume, ma la piena e il tempo non perfetto, proibisce loro la nuova impresa. Ma Alvise non si da per vinto. Torna un anno dopo, assieme ad un genovese, anch’egli al servizio del principe portoghese, di nome Antioniotto Usodimare. Si dirigono nuovamente verso il fiume Gambia, ma una tempesta li colpisce e li porta a due giorni e tre notti lontani dal loro obiettivo. Il giorno dopo, appena riapparso il sole, ecco che si fermano in un’isola bellissima e con una vegetazione rigogliosa. Si tratta di Capo Verde e le due isole che lo compongono, Buona Vista (Boa Vista) e San Jacobo (Santiago), portano ancora il nome dato loro da Alvise.

Una volta ritornati in forze e sistemate le navi, i due ripartono alla volta del fiume e ci arrivano senza problemi. Decidono poi di navigarlo, andando contro corrente, fino alla sua sorgente. Procedono per 15 km all’interno combattendo contro un caldo insopportabile, umidità e pericolosissimi insetti, arrivano fino ad un’isola naturale, che chiamano Sant’Andrea. Qui incontrano delle strane piroghe della gente del luogo. Alvise fa la conoscenza degli emissari dell’Imperatore di Melli (odierno Mali) e trasportato dalla sua infinità curiosità accompagna loro fino alla residenza imperiale. La spedizione prosegue per altri 100km! Giunti a destinazione, anche se un po’ interdetti della pochezza della mercanzia, iniziano a scambiare dei beni con i locali, ricavandone specialmente dell’ottimo muschio, quest’ultimo merce preziosissima per i produttori di profumo a Rialto.
L’avventura di Alvise non è ancora finita, uscito dal fiume Gambia scopre altre due piccole isole li dona un nome, per poi giungere fino ad una grandissima foce. Così grande da essere simile ad un mare. Il Da Mosto aveva scoperto il Rio Grande, almeno così lo chiamò, ma si trattava di un ramo dell’imponente fiume Senegalese, appunto il Gambia. Una volta raggiunto la foce del fiume, la spedizione prese vela verso il Portogallo e il loro arrivo si concretizzò nel 1456.
Una volta tornato in Europa, Alvise continuò a vivere in Portogallo, presso Lagos. Nel 1460 morì il suo protettore, Enrico “il navigatore” e il traffico con le zone africane iniziò a spostarsi sempre più verso Lisbona. Il Da Mosto, visto ormai scemare ogni possibilità di guadagno, decise di tornare a casa nel febbraio del 1463. Erano passati 8 intensissimi anni dalla sua dipartita da Venezia.
Una volta in patria recuperò gran parte dei beni appartenuti alla sua famiglia e sposò la nobile e ricca Elisabetta di Giorgio Venier, sperando di farsi una famiglia e di mettere finalmente radici in laguna. Invece la sposa era cagionevole di salute, e muore da lì a poco senza aver dato, allo stanco Alvise, l’agognato erede. Questo fatto porta il Da Mosto a riprendere il mare, ancora una volta ecco che le sue navi arrivavano fino in Inghilterra, Spagna, Alessandria, e velocemente la famiglia riprese il suo antico splendore. Poco dopo Alvise viene nominato Provveditore nel Cattaro poi a Corone. E’ poi inviato dal Senato in missione diplomatica in Dalmazia e in Erzegovina.
Ma i venti di guerra soffiano sempre più forti e inesorabili. Venezia era sempre più in lotta con la Sublime Porta. Dopo la perdita di Negroponte avvenuta nel 1470, Alvise viene mandato in Albania per difendere gli interessi veneziani della zona contro i Turchi.
Il destino stava serbando un altro strano scherzo al nobile Da Mosto, nel 1481, la Repubblica gli assegna il comando della galea Alessandria, quella con la quale aveva iniziato la sua lunga carriera tanti anni fa, come giovane ufficiale. Per lui è un ritorno al passato ancora gioioso e felice. Ma la sua fibra ormai, duramente provata da lunghi viaggi e da strane malattie, si era indebolita. Il suo spirito non era più gagliardo ed avventuroso, la perdita della moglie lo aveva stravolto.
Alvise Da Mosto, consumato dalle mille avventure e con il cuore infranto, muore nel Polesine, vicino a Rovigo nel 1483 mentre svolgeva una missione diplomatica per conto di Venezia.
I suoi ricordi, le sue mappe (molte perdute), i suoi appunti di viaggi furono fondamentali per la geografia e la conoscenza del continente africano negli anni a venire. l suo volumetto chiamato “Navigazioni” svolse un ruolo fondamentale in tutta questa attività.
Fu uno dei più grandi esploratori che Venezia ebbe avuto, anche se ormai gli interessi della Serenissima non erano più su questi grandi temi, ma solamente sul triste controllo dei pochi possedimenti ancora rimasti nel Mediterraneo. Come era accaduto ai fratelli Zen, anche Alvise Da Mosto non scoprì nuovi luoghi per conto della Repubblica ma per potenze straniere.
Il lento declino di Venezia era iniziato.
Nicola Bergamo
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