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CULTURA E POLITICA NEL MONDO MUSULMANO DI OGGI. di Franco Cardini

1 Marzo 2016
in Articoli

Altro che “aureo libretto”, come si sarebbe detto una volta. Il libro che vi consiglio di leggere (P.L. Branca, P. Nocelli, F. Zannini, Islam plurale. Voci diverse dal mondo islamico, di prossima pubblicazione; ancora ne ignoro l’editore ma l’ho letto in manoscritto) – dietro la pacata e ragionevole apparenza, qua e là financo un tantino accademica – è una cannonata, un ciclone, un pugno nello stomaco dei bugiardi e degli ignoranti, un perfetto castigaimbecilli. O, se preferite, un ideale e inappuntabile Vademecum: un Companion, come ormai si preferisce dire. E magari, tanto per parafrasare il titolo dell’opera di un Grande, un’irreprensibile Guida dei Perplessi. Qui noi tutti finalmente troviamo, ve lo assicuro – e leggere per credere – tutto l’essenziale di quanto a proposito dell’Islam non è che non avremmo voluto sapere ma non abbiamo mai osato chiedere (anzi, lo abbiamo chiesto eccome, e perfino a gran voce: ricevendo ohimè il più delle volte risposte da arguti pennivendoli, da esperti per autocertificazione, da indecenti gazzettieri, da asineschi maîtres-à-penser, da vaticinanti cassandre, da insensati apocalittici e da furbastri integrati), quanto quello che in un modo o nell’altro ci è stato negato, nascosto, dissimulato, deformato da ritratti caricaturali di quelli che hanno fatto sembrar profili leonardeschi le vignette di “Charlie Hebdo”.

L’Islam: una fede e una legge antiche di tredici secoli, una cultura senza la quale – pensate non solo alla filosofia ma anche all’astrologia/astronomia, alla matematica, all’alchimia/chimica, alla medicina – le nostre Università medievali e la stessa fondazione della Modernità occidentale sarebbero impensabili. Oggi, una realtà che a vario e differentissimo titolo coinvolge un miliardo e seicento milioni di esseri umani – vale a dire quasi un quarto dell’umanità, venticinque persone ogni cento – e che da troppo tempo troppi politici e opinion makers inadeguati o in malafede calunniano distillando e propinandoci bugie, falsi stereotipi, ridicoli luoghi comuni ispirati oltretutto alla visione manipolata e distorta d’una realtà che riguarda solo alcune aree del mondo, pochi ambienti o paesi, ristretti gruppi o sodalizi. Un miliardo e seicento milioni di persone che vivono, che lavorano, che producono, che pensano, che lottano: e che da noi, secondo un infame politically correct ormai diventato perfino l’ideologia ufficiosa di qualche giornale e di qualche gruppo politico, sarebbero una massa di assatanati infibulatori, di feroci terroristi, di spettrali ideologi del “ritorno al medioevo”, di barbari invasori travestiti da migranti straccioni, d’ipocriti pronti ad invaderci e a sottometterci, di lapidatori, di tagliagole tagliateste e tagliamani, di sciupafemmine picchiafemmine ammazzafemmine. Già in un saggio di alcuni anni or sono, ormai diventato un “classico” ma forse oggi un po’ dimenticato, l’antropologo Clifford Geertz prendeva due tipi d’Islam, desunti l’una da comunità maghrebine e l’atro da comunità microasiatiche – due modelli nei quali la permanenza di miti e di riti preislamici e la dinamica acculturativa giunge a soluzioni per certi versi quasi sincretiche molto diverse da loro e tali da render difficile all’osservatore esterno il rendersi conto che ci si trova dinanzi alla medesima religione.

E allora, ci voleva proprio. Era necessario un libro agile, breve ma sostanzioso, sintetico ma scientificamente documentato, analitico quanto basta ma in grado di abbracciare tempi lunghi e vasti orizzonti: nel quale tre esperti con tutte le carte in regola per essere riconosciuti tali (e quindi orientalisti, arabisti, islamologi) ci forniscono un quadro organico e generale della realtà effettiva del mondo musulmano nella sua lunga storia e nell’ampia, complessa varietà d’istituzioni, di strutture, di manifestazioni e d’intenzioni che lo caratterizzano.

E partiamo dunque alla limpida e pacata caccia al pregiudizio, guidati dalla weberiana fede nel disincanto. Venghino venghino, signore e signori che davvero vogliono vederci chiaro, al Gran Padiglione del Vero Islam! Dove non si trovano né bandiere verdi o nere né mezzelune né harem né turbanti né palme né cammelli, e tantomeno le pipe sciabole tappeti scimitarre yaghatan odalische minareti che – ci assicurava grosso modo un secolo e mezzo fa il Visconti Venosta – già imballati avea il sultan.

Qui troveremo, ordinatamente esposti e commentati in modo da consentire una puntuale verifica, alcuni dati semplici che l’abituale confidenza con cattive letture farà sembrare a molti di noi delle sconvolgenti, letteralmente incredibili verità.

Primo: non esiste l’Islam, bensì gli Islam. O meglio, per salvaguardare l’unità storico-antropologica e teologico-giuridica sulla quale si fonda la pur articolata, complessa e – perché no? – sovente contraddittoria fenomenologia delle società musulmane, esiste un “Islam plurale”, come appunto il titolo di questo libro suggerisce.

Secondo: all’interno del mondo musulmano si scrive, si legge, si discute, si critica. Non è assolutamente vero che il mondo musulmano non conosce l’Occidente (al contrario!), che non prende posizione ferma nei confronti del terrorismo, che in esso non esiste un’opinione pubblica.

Terzo: il dilemma fra tradizione e modernizzazione non viene affatto abitualmente risolto col rifugiarsi nella prima impedendone qualunque cambiamento o con la semplice accettazione di modelli esterni. Il panorama del pensiero musulmano non si lascia rinchiudere nel braccio di ferro tra “fondamentalisti”, “tradizionalisti”, “modernisti” e “secolaristi”.

Quarto: la shari’a, che da noi la propaganda di alcuni sconsiderati ha trasformato in una parolaccia, non s’identifica affatto con tutto il diritto musulmano né è affatto sempre e comunque incompatibile con il diritto internazionale.

Quinto: è falso che l’Islam non conosca la divisione e la limitazione dei poteri, che confonda fede e politica, che non distingua fra teologia e legge, che applichi sempre e comunque il Corano alla lettera (il che sarebbe impossibile, se non altro, per motivi linguistici, filologici e lessicologici); ed è invece vero che la legge viene costantemente madiata attraverso l’interpretazione umana.

Sesto: il pluralismo e quel che noi definiamo “tolleranza” – vale a dire il riconoscimento di molte vie per giungere alla verità – sono nell’Islam tutt’altro che il prodotto della coraggiosa volontà innovativa di molti intellettuali che pur sono destinati a rimaner isolati, bensì valori e problemi già insiti fino dalle origini del suo messaggio.

Si potrebbe continuar a lungo con questa enumerazione di temi e di argomenti: permettetemi, invece, arrivati a questo punto, di fare un po’ il professore, io che arabista orientalista o islamologo non sono affatto ma che mi occupo semplicemente di come, in certi momenti della storia occidentale, si è guardato al fenomeno musulmano cercando di concepirlo e di comprenderlo. E come professore, sottoscrivendo toto corde e sine glossa quanto si dice nell’Introduzione (che sintetizza esattamente quel che penso io ma lo esprime molto più chiaramente e autorevolmente), v’invito a leggerla e a meditarla con cura. Sono poche righe, ma essenziali e per molti versi risolutive. Ciò fatto, affrontiamo la densa, coerente, convincente e perfino piacevole struttura di questo libro distinto in tre parti che coprono la realtà odierna dell’Islam consentendo di coglierne radici e genesi e presentandola secondo ampie aree corrispondenti a quelle nelle quali l’Islam è maggioritario o comunque più diffuso.

Paolo Branca ci consente di considerare subito, e per primo, l’Islam che in quanto più vicino a noi europei, in particolare agli euromediterranei, è o devrebb’esserci anche il più comprensibile e familiare: quello del Maghreb e del Vicino a Medio Oriente considerato essenzialmente sotto vari aspetti, ciascuno dei quali presentato nel prisma di uno scrittore, di un pensatore, di un intellettuale o di un politico che ne è o ne è stato protagonista: la cultura secondo il filosofo marocchino Mohammed Abed al-Jabri (1936-2010); la legge secondo il giurista sudanese Abdullahi Ahmad an-Na’im, già docente alla UCLA di Los Angeles e a Uppsala e ora alla Emory University di Atlanta; la politica secondo il siriano Burhan Ghalioun (nato nel 1945), esponente dell’opposizione al regime assadista; la scienza secondo l’iraniano Aldolkarim Soroush (nato a Teheran nel 1945), che tra Anni Ottanta e Novanta ha fieramente polemizzato nel suo paese con i conservatori affermando il carattere evolutivo della religione; la storia, infine, secondo il “mio” amato Mohammed Khatami (1943), Presidente iraniano dal 1997 al 2005 e fiero avversario delle tesi di Samuel P. Huntington a proposito del cosiddetto “scontro di civiltà”.

Francesco Zanini c’introduce alla storia e alle contraddizioni della Turchia contemporanea attraverso il pensiero del teologo, predicatore, insegnante e uomo politico Fethullah Gülen, nato nel 1941 a Erzurum – nella Turchia orientale, non lontano dall’Armenia e dalla Georgia, fautore di un Islam tanto fermo nella fede quanto aperto alla modernità e alla tolleranza, che nel 1998 s’incontrò con Giovanni Paolo II e che, perseguitato dal fanatismo laicista dei kemalisti, vive adesso nel New Jersey estraneo alla deriva fondamentalista del regime di Erdoğan e fedele alla sua linea vicina alla tradizione sufica, per un Islam del dialogo ben decisa a denunziare i mali del mondo da lui identificati nella povertà, nella mancanza di solidarietà e nell’ignoranza: un’analisi che va molto vicina allo spirito dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco.

Il lungo, densissimo e sorprendente saggio di Paolo Nicelli ci aiuta a capir qualcosa di più dell’Islam forse più sconosciuto e al tempo stesso – in quanto ridotto a poche e tendenziose notizie relative al terrorismo – più problematico e calunniato al mondo: quello della Malaysia, dell’Indonesia e delle Filippine, con importanti note, ad esempio, sulla figura e sul regime di Sukarno.

Ma attenzione: il netto privilegio accordato in queste pagine all’Islam contemporaneo – del resto forse, per paradossale che possa sembrare, il più sconosciuto e misconosciuto – non deve far pensare che qui manchino i riferimenti al “grande” Islam: qui c’è quanto basta a qualcosa di più anche a proposito di Avicenna, di Averroè e di Ibn Khaldun.

Un testo “di servizio”: un libro che vuole informare e, attraverso l’informazione, informare; che non intende né stupire, né scandalizzare, né attaccare, né offendere nessuno. Se darà tale impressione a qualcuno, sarà colpa del lettore superficiale o disattento o impreparato o prevenuto: non dei coautori. I quali dal conto loro sanno benissimo che l’Islam, se non è riducibile alla sanguinaria caricatura alla quale vorrebbero ridurlo gli islamofobi di professione, abbonda tuttavia di problemi che in gran parte gli derivano dall’ignoranza e dalla tendenziosità di molti fra i suoi fedeli: alcune “frange lunatiche” dei quali giungono a far propria e a rivendicare con orgoglio proprio quella stessa immagine ridicola e deteriore, ma anche spaventevole, evocata dai suoi più inqualificabili detrattori. Come sempre, gli estremisti si sostengono a vicenda: senza gli al-Baghdadi non esisterebbero nemmeno i Trump, e viceversa.

Anche per questo motivo c’è da augurarsi che questo libro raggiunga anche molti musulmani, magari neoconvertiti, che spesso hanno abbandonato la loro tradizione religiosa ed etnoculturale senza averla mai sufficientemente   conosciuta e praticata per abbracciarne un’altra non meno ignorata, e avvicinata per giunta attraverso “cattivi maestri” e scellerati propagandisti. Una volta di più, la vera e principale nemica di tutti noi è una sola: l’ignoranza.

Franco Cardini

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