Applaudo all'”apologia” del carissimo Francesco Mario Agnoli. Sopratutto mi piace lo stile di umile replica alla spocchiosità altrui. Ma anche nel merito mi sembra cogliere la questione che si vorrebbe sminuire o sottacere.
Ossia: era quello di Fenestrelle e luoghi simili un universo concentrazionario, anticipatore di quelli certamente più raffinati del XX secolo, o no?
Una domanda che potrebbe estendersi anche alla questione, ad esempio, vandeana: fu quello vandeano – viste le parole di quel generale che relazionava al Direttorio di aver sterminato le donne ed i bambini, ovvero le riproduttrici dei futuri briganti e la loro malsana prole – un genocidio, sebbene perpetrato con tecniche ancora rozze, anticipatore di quelli del XX secolo o no?
Come ho già scritto ad un amico, non giudico la caratura dello storico. Barbero è certamente un valente storico. Però qui mi sembra si sia mosso con un intento “giustificazionista” che fa trapelare la sua cultura di provenienza. Poi ci si mette anche la stampa ad utilizzarne in forma polemica il nome.
Sia ben chiaro: anch’io non ho simpatia per il revisionismo facile di molti “tradizionalisti”. Ad esempio, dopo aver letto gli ottimi libri di Giovanni Ruffo e di Antonio Manes sul cardinale Fabrizio Ruffo ho capito – anche “innamorandomi” del personaggio – che non era quel paladino della reazione come nei circoli tradizionalisti è rappresentato ma, al contrario, un intelligente riformatore politico e sociale, che voleva fare riforme enfiteutiche in favore dei contadini (e delle entrate dello Stato) e sognava una monarchia costituzionale (per questo, insieme alla carità cristiana, cercò di salvare i giacobini napoletani poi impiccati su ordine del re da Nelson).
Dire queste cose tra i neoborbonici è dire una bestemmia. Sopratutto non mi piace che la storia anche revisionata, come è giusto che sia, venga piegata, dall’una o dall’altra parte, a supporto delle lotte politiche contemporanee, oltretutto di bassissima lega (non mi piace, per
capirci, il film di Martinelli sul Barbarossa che anacronisticamente fa dell’Imperatore l’emblema del “centralismo romano” e di Alberto da Giussano il nonno di Umberto Bossi). Però non posso far a meno di segnalare che nel link, inviatomi da Alessandro Angelucci, che collega l’utente alla recensione apparsa su Repubblica del libro di Barbero è possibile leggere anche la recensione di un altro libro di altri due autori, solo prefato da Barbero, nella quale si dice – senza far capire se l’affermazione è ascrivibile a Barbero o agli autori del libro recensito o al solo recensore – che l’intenzione era quella di una rieducazione morale militare dei soldati borbonici.
Ora, come ho detto, è questo che è insopportabile, se si vogliono giustificare quelle deportazioni o incarcerazioni. Con quale diritto un esercito, oggettivamente usurpatore ed invasore di un altro Stato sovrano dell’epoca, si permette di “rieducare” i soldati dell’esercito sconfitto?! La cosa sa molto di quella mentalità che sta dietro anche al lager ed al gulag.
Barbero, probabilmente, è vittima della (cattiva ) stampa. Tuttavia le questioni che pone devono essere affrontate e spero che Agnoli o altri lo facciano al più presto. Anch’io non sono mai stato a Fenestrelle però ho visto la foto della scritta che campeggia in quel triste luogo – “ognuno vale non per quel che è ma per quel che produce” – che, sinceramente, mi sembra proprio un ante litteram dell'”arbeit mach frei”.
Quando dicevo che dietro la mentalità di chi ha deportato i soldati borbonici a Fenestrelle per “rieducarli” si scorge già quella del lager e del gulag, credo trovi in quella scritta una conferma. Al di là del numero effettivo delle vittime. Se si dimostrasse che quello delle vittime dei lager nazisti (che non erano solo ebree) fosse la metà di quanto oggi si dice, questo, per me, non sminuirebbe affatto la realtà concentrazionaria verso le “razze inferiori” della politica del regime hitleriano.
Cari saluti.
Luigi Copertino