Quello che è successo a Gaza nella giornata del 14 novembre 2012, rappresenta ben più di una semplice azione militare Israeliana volta all’uccisione di uno dei più importanti capi di Hamas. Tralasciando l’aspetto militare è importante sottolineare le cause e le conseguenze politiche dell’avvenimento. A mio avviso, infatti, quanto successo rappresenta molto più di una più generica volontà dell’entità sionista di sbarazzarsi di uno dei responsabili di diverse operazioni di guerriglia e sequestro contro lo Stato ebraico e i suoi cittadini. Anche perché morto un Ahmed Al Jaabari, se ne faranno altri cento.
Le cause.
Di sicuro tra le cause interne c’è la convinzione (a torto o ragione) delle élites di difendersi dal pericolo dei razzi palestinesi[1]. Se guardiamo all’esterno dei confini, l’inasprimento dei rapporti con la Turchia, derivante soprattutto dalla presa di posizione in netto favore di Gaza da parte dell’Akp rappresentano una grossa fonte di stress politico/militare. È evidente che anche con l’Egitto i rapporti si siano fortemente incrinati da quando ha preso il potere la Fratellanza Mussulmana, che ha instaurato un regime inimico alle frontiere di Israele. L’istituzione di un panel di sicurezza comune tra servizi segreti egiziani e Hamas[2], di cui Al Jaabari era parte fondamentale, è stata l’ultima delle chiare prese di posizione del Cairo nei confronti della “questione palestinese”; posizione che possiamo evincere anche dai negoziati per l’accordo su un cessate il fuoco permanente sulla striscia di Gaza condotti da Israele, Egitto e Hamas (di cui, ancora una volta Al Jaabari era uno dei negoziatori). Inoltre, si può citare l’effetto causato dalla primavera araba: con la proliferazione di regimi sunniti in tutto il Medio Oriente, Hamas ha colto l’opportunità per abbandonare il carrozzone siro-iraniano e salire su quello della Fratellanza Mussulmana. Questo ha reso più sostenibili[3] le sue posizioni nei confronti del “mondo occidentale”, ma ha contribuito ad inasprire l’isolamento di Israele nell’area mediorientale, facendo sviluppare una sorta di sindrome d’accerchiamento.
Le conseguenze.
Con “l’apertura delle porte dell’Inferno”, le autorità israeliane si sono aggiudicate una buona scusa per far partire l’Operazione Piombo Fuso II sotto la copertura della legittima difesa[4]. Assassinando Al Jaabari non si è solo decretata la fine dei negoziati per la tregua sul territorio di Gaza, ma si evince anche una chiara volontà dell’entità sionista di voler cessare il dialogo con l’Egitto, diventato un interlocutore troppo ingombrante. La percepita perdita di leadership in tutto il Medio Oriente in favore di Paesi come Arabia Saudita e Qatar ha portato Israele ad un irrigidimento e ad una polarizzazione delle relazioni diplomatiche che ha riacceso il fuoco sulla questione palestinese.
Cui prodest?
Per ovvie ragioni, tutto ciò non conviene ad Hamas e ai palestinesi. Non conviene all’Egitto che rischia di aggiungere ai problemi di stabilizzazione interna dei significativi problemi con un vicino molto potente. Non conviene alla Turchia che da “zero problemi con i vicini”[5] sta passando a “zero vicini”. Forse conviene all’Iran e alla Siria che riescono a “guadagnare tempo” poiché Israele si sta impelagando in quest’altra operazione militare e diplomatica. Forse conviene ad Arabia Saudita e Qatar che possono sfruttare la situazione per assumere un ruolo ancora più importante. Non conviene ad Israele che rischia di impanarsi in un conflitto che potrebbe coprire una zona molto più vasta rispetto la sola striscia di Gaza, che all’esterno incrina i rapporti con la comunità internazionale e all’interno con il proprio elettorato più moderato che tra due mesi è chiamato a votare. Una cosa è certa: la Primavera araba ha messo in discussione tutte le relazioni internazionali di Israele (anche al di fuori del Medio Oriente) e reagire con la forza alla sindrome d’accerchiamento, negli esempi che ci offre la storia, non è mai convenuto a nessuno.
[1] Data anche la disponibilità da parte di Hamas dei Fajr 5, missili a lunga gittata di origine iraniana (75km di raggio).
[3] Ricordo che i nuovi regimi hanno un’apparente reazione zelota alla cultura “occidentale” ma all’esterno delle loro società presentano un atteggiamento di apertura politica, economica e diplomatica con le potenze euro-atlantiche.
[4] Se andate a visitare siti israeliani importanti come Haaretz.com noterete di come si respiri una pesante aria di guerra. Israele non esclude l’inizio di operazioni di terra.
[5] Secondo quanto previsto dalle linee guida della politica estera del Ministro degli Esteri Davutoglu.