Quattordici-Diciotto, Quattordici-Quarantacinque o Quattordici-Chissaqquando?
Seguendo l’abituale ancorché criticata e ridicolizzata consuetudine della “storia peranniversari e centenari”, una volta spentesi le luci delle celebrazioni centenarie del 2013(diciassettesimo centenario dell’editto costantiniano-liciniano di Milano, settecentenario dellanascita del Boccaccio, cinquecentenario dell’edizione del Principe del Machiavelli), ciapprestiamo a ricordare adesso, con il 2014, il primo centenario di quella che di solito siqualifica come la “prima guerra mondiale”, combattuta tra il 1914 e il 1918.Partiamo da qui: da due considerazioni. Prima: d’accordo sul ricordare, più d’accordoancora – in questo come in molti altri casi – sul ”dovere della memoria”; ma che sia ricordo,non celebrazione, tantomeno festeggiamento. Seconda: alla luce degli eventi posteriori allapace del 1918 – una pace, come fu ironicamente detto rovesciando la conformistica retoricadei vincitori, “per farla finita una volta per tutte con qualunque pace futura”, “per rendereimpossibile qualunque pace futura” – appare ampiamente condivisibile la tesi di Ernst Noltesecondo la quale il conflitto ’14-’18 altro non sarebbe se non la prima fase di una lungacontesa militare europea, una “guerra dei Trent’Anni” 1914-1945 allargatasi al mondo intero ecomplicatasi a causa delle “ingiuste paci” di Versailles, dell’insorgere della contesa tra potenzeliberal-parlamentari dell’Occidente e regimi totalitari “revisionisti” nei confronti dei trattati dipace, del radicarsi della potenza sovietica nonché dell’egemonia giapponese sull’Asia e delnascere del conflitto tra impero del Sol Levante e gli Stati Uniti d’America.
A proposito del “dovere della memoria”, occorre ormai uscire da un nefasto equivoco: itempi sono maturi affinché tutti i popoli, pur mantenendo fede alla loro identità e alle lorotradizioni, accolgano senza riserve la lezione della storia e ricordino quei luttuosi anni dal ’14 al’18 per quel che furono, cioè come un’immane, non inutile bensì decisamente infaustacarneficina provocata da sconsiderati appetiti imperialistici e da non meno sconsideratepassioni nazionalistiche, cioè da idee e forme di Weltanschauung che ormai non si possonoche decisamente rifiutare e condannare: tutte, non solo quelle di chi da quel conflitto uscìsconfitto; e la pessima gestione della falsa pace che alla fine della guerra fece seguito basta arendercene perfettamente consapevoli. Dopo l’instaurazione dell’impero, Napoleone compreseche era giusto e necessario uscire dalla spirale dei rancori e delle rivendicazioni: esignificativamente alla denominazione di “Place de la Révolution” attribuita al grande spazioaperto nel quale per anni si erano celebrati i tristi fasti della ghigliottina per sostituirla con ilbeneaugurante nome di “Place de la Concorde”. Sarebbe molto bello poter organizzare unforte appello affinché in tutte le piazze dei paesi coinvolti nelle due guerre mondiali tra ’14 e ’45i nomi di “Vittoria” conferiti a piazze, strade, ponti ed edifici fossero sostituiti dall’espressione“Concordia mondiale”: perché è di questo, non di celebrazioni retoriche e bellicose del tutto 2fuori tempo, che abbiamo bisogno. E perché la “vittoria”, alla fine di un conflitto, non esiste:dev’esser chiaro che le guerre le perdono tutti, vincitori compresi.Quanto alla guerra scoppiata nel ’14 e trascinatasi, dopo un ventennio di formale pacedisturbata e bugiarda – per non dire di di equivoco armistizio di fatto – dal ’19 al ’39, e quindidopo il ’45 proseguita almeno in una certa misura ed entro certi termini attraverso la “guerrafredda”, la politica unilateralista degli USA ritenuti sino al primo decennio del XXI secolo unicasuperpotenza rimasta al mondo e il cosiddetto “scontro di civiltà”, essa ha comunqueprovocato un’epoca di drammatica transizione ancora in corso. Ardua ad accettarsi, pertanto,la proposta d’interpretazione del XX come di un “secolo breve” (dal ’14 alla caduta del “Muro di Berlino”) a suo tempo avanzata da Eric Hobsbawm: la fine della potenza sovietica e l’eclissedel comunismo appartengono a loro volta a una fase di transizione interna alle conseguenzedella cattiva pace di Versailles e destinata a chiudersi solo quanto saranno superati gli effettidel vulnus inferto dal diktat delle potenze vittoriose del ’18 a tutto il mondo con il pessimo einstabile assetto del Vicino Oriente e con la conferma – accompagnata da molte e profondemodifiche – di quel sistema di forme di dominio coloniale dei paesi occidentali sul resto delmondo che ha dato luogo in Asia, in Africa, in America latina alla lunga e durissima stagione dilotte civili, sociali e nazionali nonché ai problemi correlati con la presenza nella vita politica,economico-finanziaria e tecnologica dalla presenza delle lobbies multinazionali.Sotto questo profilo, lo stesso evento “epocale” ed “apocalittico” dell’11 settembre 2001appare – lontanamente sotto il profilo cronologico ma strettamente sotto quello genetico -connesso con l’era degli squilibri e dei disordini inauguratasi con la caduta dell’imperoottomano e con l’assetto del mondo vicino-orientale che venne a sostituire il vuoto da essaprovocato. Tra l’altro, lo scoppio della prima guerra mondiale fu esattamente contemporaneoall’inizio della corsa mondiale al petrolio, non più considerato maleolente sostanza utilesoltanto per l’illuminazione e per la confezione di pomate coloranti dei capelli, bensì ritenutoormai primaria fonte energetica.
Ma se il XX secolo è il “secolo del petrolio”, con tutte le lotte egli sconvolgimenti che ciò ha comportato, bisogna dire che, contrariamente alla lettura di essoquale “secolo breve”proposta dallo Hobsbawm, siamo dinanzi a un “secolo lungo”, anzilunghissimo, che ha ormai invaso anche il XXI e non accenna a concludersi. Forse, un puntodi arrivo per esso potrebbe venir considerato la chiusura del contenzioso israelo-palestinese,avviatosi proprio durante la prima guerra mondiale, nel biennio ’16-’17, con i trattati segretiSykes-Picot sulla spartizione anglo-francese dell’area vicino-orientale e la “dichiarazioneBalfour” relativa alla costituzione di un national home for the Jewish people in Palestina.Finché non sarà sciolto questo nodo, divenuto come sappiamo causa di destabilizzazionecontinua di un’area vastissima e nevralgica, non potremo dire di essere usciti del tutto dallacatena di crisi e di problemi aperti dallo scoppio della guerra “europea” (in realtà mondiale,dato il coinvolgimento di potenze eurasiatiche o asiatiche quali Russia, Turchia e Giappone,più tardi degli Stati Uniti d’America, e di potenze europee che dominavano però estese colonienei continenti asiatico e africano). Un ancor più importante nodo da sciogliere sarebbe laripresa della ricerca a proposito delle energie motrici alternative, tesa a superare l’impiego delpetrolio sul quale si è andato impiantando una mole colossale d’interessi economici e politici :è impensabile, visti gli straordinari progressi scientifici e tecnologici dell’ultimo secolo in tutti icampi, che su quello della locomozione si sia ancora fremi al motore a scoppio del padreBarsanti. Ma è evidente che la fine dell’età del petrolio coinciderebbe con la fine di una serie 3imponente di centri di potere (si pensi soltanto agli stati sorti nella penisola arabica appuntoall’indomani della guerra ’14-’18): ed è comprensibile quindi che le forze schierate in campoaffinché ciò non avvenga siano proporzionalmente immense. Questa è la vera guerra avviatanel 1914, che aprì coincidente con un “secolo lunghissimo” ancora in corso: esattamente centoanni più tardi, nel 2014, le situazioni afghana, iraniana, asiatica in generale, di molti paesidell’Africa e dell’America latina, indicano come sia già stata combattuta una vera e propria“Guerra dei Cent’Anni”, per uscir dalla quale non si scorgono ancora chiari e definitivi segnalidi pace.I perché e i precedenti (e/o le cause?).La ricerca di cause, moventi e origini della guerra 1914-1918 (o di quella che, forse piùpropriamente, si dovrebbe definire la “Guerra dei Trent’Anni 1914-1945”, i cui postumicostituiscono ancora per noi molti problemi) richiede uno scavo molto profondo. Si deve risalirea più o meno il terzo quarto del secolo XIX, allorché le grandi nazioni in prima linea nellosviluppo industriale – Stati Uniti d’America, Gran Bretagna, Germania, seguite a una certadistanza da Francia e da Giappone – e quelle caratterizzate da un’ampia estensioneterritoriale – prima fra tutte la Russia – ripresero vigore intensificato dal progresso tecnicoscientificoquella corsa alla spartizione economica e politica del mondo che, almeno nelleconcordi e dichiarate intenzioni, sarebbe servita a stabilire definitivamente l’equilibrio tra le lororispettive ricchezza e potenza.Le aree critiche e le linee di frattura in questo senso emergenti (sovente sovrapposte ocomunque interagenti tra loro) erano otto, che enumereremo partendo da un centroindividuabile nel bel mezzo d’Europa: 1. l’area dei grandi fiumi e delle miniere carbometallifereestese tra Francia orientale e Germania occidentale, tanto popolosa, prospera e civile quantoresa instabile dalla sua frammentazione politica dopo l’avventura napoleonica e la fine delSacro Romano Impero; 2. l’immenso impero ottomano, che si presentava sempre più comel’uomo ammalato al cui capezzale si affollavano le potenze europee, da un lato formalmentepronte a sostenerlo con imponenti mezzi economici e finanziari dall’altro interessate a spartirsila sua eredità territoriale; 3. l’area balcano-danubiana, l’egemonia sulla quale era contesa traimpero d’Austria (e, dopo il 1867, monarchia austro-ungarica) e impero czarista russo entrambiinteressati a raccogliere sul posto l’eredità ottomana; 4. il Mediterraneo e le sue sponde,oggetto delle mire francesi del secondo Impero mentre la Russia, dal Mar Nero, ambiva araggiungerne le sponde o attraverso il Bosforo o attraverso la penisola balcanica: il che laesponeva obiettivamente a un contrasto sia con l’Austria sia con l’impero ottomano e costituivadi per sé una ragione di alleanza tra questi ultimi nonostante la loro reciproca rivalità balcanodanubiana;5. l’Asia centrale, dov’era in atto il Great Game tra la Russia che stavaimpadronendosene dal nord e l’Inghilterra che ambiva spostare il più possibile versosettentrione il limite della sua area d’influenza nel subcontinente indiano; 6. la Cina, dopo leguerre “dell’oppio” (1840-42) e “della Lorcha” (1856-58) forzatamente aperta alla penetrazioneoccidentale, con il trattato di Pechino del 1860 e soprattutto –dopo la “rivolta dei boxers” del1900-1901, con la “politica della porta aperta” che aveva aperto un mercato comune dellapenetrazione economica nel paese e rapidamente provocato la rovina dell’impero fino allarivoluzione nazionalista “dei Giovani Cinesi” nel 1911; 7. il sud-est asiatico, dove si 4confrontavano le mire britanniche, francesi e olandesi; 8. il continente africano, dove alla giàpiù antica presenza britannica, francese, portoghese e spagnola si aggiungevano dopo il 1882le mire tedesche e dopo la conferenza del Congo del 1884-85 anche quelle di Leopoldo II delBelgio ( la cui sovranità sul Congo, indicato come “area di libero scambio internazionale”, erastata riconosciuta fino dal 1885 a titolo personale per passare quindi al Belgio stesso, al qualeegli l’aveva lasciata in eredità redigendo il suo testamento nel 1890); 9. infine gli oceani, dalmomento che fino dal 1823 con la “dichiarazione Monroe” gli Stati Uniti d’America –riconoscendo l’Atlantico come area di espansione navale europea, e più specificamenteinglese – si erano aggiudicati l’egemonia sul Pacifico, a tale titolo ereditando la tradizionaleamicizia diplomatica britannica nei confronti del Giappone, mentre l’apertura del canale diSuez del 1869 con prevalenti capitali francesi induceva la Gran Bretagna a spingere nel1870la Prussia alla guerra contro la Francia, il che consentiva all’Italia di concludere nellostesso anno il suo processo di unificazione nazionale con la presa di Roma (cosa resapossibile solo dalla scomparsa dallo scenario internazionale di Napoleone III che, pressatodall’opinione pubblica cattolica francese, non l’avrebbe altrimenti mai consentita). Gli inglesi siappropriavano altresì gradualmente della maggioranza azionaria della società che gestiva ilcanale e riuscivano così (dal momento che fino dalla pace di Utrecht del 1714 essicontrollavano Gibilterra e possedevano Malta dal 1814) a dominare completamente ilMediterraneo divenuto ormai via acquea di scorrimento navale tra Atlantico e Oceano Indiano(il che rese più facile la fondazione, nel 1876, dell’impero coloniale indiano la corona del qualepoggiava sulla fronte della regina Vittoria d’Inghilterra).Queste linee di frattura, queste aree di contrapposizione, facevano in particolareemergere una serie di situazioni di instabilità-concorrenza-ostilità che il progresso scientificotecnologicorendeva più acute a causa del crescente bisogno di territori da egemonizzare pertrarne materie prime e forza-lavoro e di mercati da ampliare per assorbire i prodotti finiti. Glistraordinari sviluppi industriali e cantieristici specie inglesi e tedeschi determinavano una famedi ferro e di carbone che nel 1870-71 obbligava come sappiamo la Prussia, ormai potenzaegemone della confederazione tedesca dopo aver umiliato l’impero austriaco nella guerra del1866, a battere la Francia annettendosi le aree ferrocarbonifere della Renania e della Saar e aproporsi come protagonista dell’unione federale germanica, il “Secondo Reich”. L’amicizia traBran Bretagna e Germania si fondava su un discretamente solido presupposto: il cancellieretedesco Bismarck dava decisi segni di non ambire ad alcuna espansione coloniale del suopaese, lasciando pertanto all’Inghilterra l’egemonia sui mari. D’altronde l’Austria, dopo averconsolidato la propria posizione interna nel 1867 trasformando l’impero in sistema diarchicoimperialregio austroungarico, si era rappacificata con la Prussia ormai divenuta regno-guidadell’impero germanico; dal canto suo il Bismarck curava di attutire il più possibile i contrastiaustriaci con la Russia – che ambiva a penetrare nel mondo balcano-danubiano –promovendo nel 1872 un’”Alleanza dei tre imperatori – il Kaiser d’Austria, quello di Germania elo Czar di Russia – con lo scopo di mettere in atto una politica unitaria di repressione delleistanze che, movendo dalla “questione sociale”, avrebbero potuto condurre alle minacciaterroristica e rivoluzionaria. Una delle condizioni dallo Czar poste alla stipula di tale alleanzaera tata l’ottenimento del libero passaggio delle sue navi dagli Stretti che uniscono Mar Nero eMediterraneo.
5Ottenuta la benevola e provvisoria “distrazione” dell’Austria-Ungheria dalla questionebalcanica, la Russia aggredì nel 1877 l’impero ottomano facendo leva sul nascentepanslavismo teorizzato da Michail Pogodin e, come al solito, presentandosi anche comeprotettrice del cristianesimo ortodosso. La pace di Santo Stefano, che concluse quella guerranella quale la Russia aveva avuto la meglio, coincise con un ingrandimento dei nuovi staticuscinettobalcanici e in particolare della Bulgaria e con un forte consolidamento della potenzaczarista: il che preoccupò Austria e Inghilterra, di solito in discreti rapporti diplomatici (salvosulla questione italiana). Ciò condusse nel ’78 al congresso di Berlino, mediato dal cancelliereBismarck, che sancì l’indipendenza della Romania, della Serbia e del Montenegro mentre laBulgaria – ancora principato autonomo soggetto dalla Porta a tributo – perse la Macedoniapassata al sultano e l’Austria acquistò l’amministrazione di Bosnia e di Erzegovina. ll principatoautonomo di Bulgaria – dove il pericolo insurrezionale socialista sembrava forte – sarebbepassato nel ’79 sotto Alessandro di Battenberg, principe tedesco ma anche nipote dellaCzarina: quindi, avendo quegli abdicando nel 1885, sarebbe stato assegnato due anni più tardia Ferdinando I di Sassonia-Coburgo. La Romania era già regno dal 1866 sotto Carlo diHohenzollern-Sigmaringen (Carol I); la Serbia lo sarebbe diventata dal 1882. Con ilcongressoberlkinese, inoltre, l’Inghilterra si annetté Cipro e quattro anni dopo impose all’Egitto la suavera e propria “protezione”, che si sarebbe trasformata nel ’14 in protettorato: il controllobritannico sul canale di Suez non poteva venir messo in discussione.Si aprono le danze: “Ballo Excelsior”, “giri di walzer” e Totentanz.Con il congresso di Berlino ci si era se non altro illusi di venir a capo della tensionetriangolare austro-russo-ottomana e al tempo stesso di sottrarre più territori possibili alfranante impero di Istanbul, la liquidazione del quale stava però provocando appetiticolonialistici anche nel Vicino Oriente e nell’Africa settentrionale: ne erano protagonisti sial’Inghilterra che puntava all’Egitto sia la Francia che nel 1881 si era aggiudicata la Tunisiascartando dall’affare l’Italia che, indispettita per lo “schiaffo di Tunisi” e già indirizzata in sensofilotedesco (quindi filobritannico) sia per le scelte diplomatiche della “Sinistra storica algoverno” sia per la subordinazione dei suoi industriali e dei suoi imprenditori alle imprese e allebanche britanniche – dall’egemonizzazione britannica di Suez la classe dirigente italianaaveva sperato di ottenere buoni vantaggi per l’industrializzazione della penisola, dato che SuaMaestà Britannica aveva bisogno di scali sicuri verso l’India -, aveva aderito nel 1882 allaDuplice Alleanza dei Kaiser di Germania e di Austria-Ungheria, trasformata da allora in“Triplice” alla quale accedette anche la Romania. Il Bismarck fece di tutto per impedire unostrappo con la Russia, che già si trovava in contrasto crescente con l’Austria a propositodell’influenza dei due paesi sulla Bulgaria: e nel 1887 con geniale mossa diplomatica stipulòquasi contemporaneamente sia una convenzione mediterranea (che fu detta “Tripliceorientale”) a difesa dell’impero ottomano e del mantenimento dello status quo nel Mediterraneodove la corsa colonialistica stava profilando una rivalità tra Francia e Inghilterra, sia un “trattatodi controassicurazione” con la Russia impegnandosi affinché gli Stretti fossero mantenutiaperti alla marina czarista. Ma un primo colpo al Grande Giocoliere tedesco e alla suareputazione di abile diplomatico fu a quel punto inferto proprio dall’Inghilterra, che si rifiutò dientrare nel complesso sistema di alleanze egemonizzato da Berlino: ormai infatti inglesi e 6tedeschi erano entrati in una fase di pesante concorrenza nella penetrazione economica etecnologica nell’impero ottomano (soprattutto i rispettivi con progetti di costruzione di lineeferroviarie eurasiatiche). A quel punto, la Realpolitik bismarckiana venne repentinamenteliquidata dal nuovo Kaiser, l’appena trentenne Guglielmo II, che nel 1890 congedò l’ormaisettantacinquenne cancelliere per inaugurare un aggressivo “Nuovo Corso” diplomatico:sostanziale passo in avanti verso la rovina. Stava cominciando in quegli anni la Belle Époque,tempo di allegre e sfrenate danze: e infatti, insieme al “Ballo Excelsior”, si avviava anche ilTotentanz europeo.Il nuovo sovrano tedesco dette subito una prova del suo spregiudicato principio politicodelle “mani libere” omettendo di rinnovare il trattato russo-tedesco “di controassicurazione”: larisposta dello Czar Alessandro III fu la rottura dell’intesa “dei Tre Imperatori” e il suoavvicinamento alla Francia revanscista, avviato dalla convenzione militare dell’ 92 eperfezionato nella “Duplice Intesa” grazie alla quale industria e ferrovie russe si svilupparonograzie all’impiego dei capitali e delle tecnologie francesi. Contravvenendo al principiodiplomatico-geopolitico in forza del quale una potenza deve evitar di farsi dei nemici su frontiopposti che possano chiudersi a tenaglia su di lei Guglielmo II, ormai definitivamente lontanodalla Russia la quale era dal canto suo in crescente contrasto con Austria e impero ottomanoper le questioni della penisola balcanica e degli Stretti, approfondì anche il fossato checominciava ormai a scavarsi con un fino ad allora discreto ma sicuro alleato della Germania,l’Inghilterra (e, paradossalmente, proprio in quanto Londra rimproverava a Berlino unatteggiamento troppo filorusso). Il Kaiser rinnegò difatti decisamente e clamorosamente lapolitica di disinteresse coloniale del grande cancelliere rivendicando il diritto della Germania alsuo “posto al sole” col motto “Politica mondiale come còmpito, potenza mondiale comeobiettivo, flotta come strumento”, che segnava l’adesione del Secondo Reich alla dottrine“navalistiche” enunziate appunto nel 1890 dal libro Influence of sea power upon historydell’ufficiale della marina statunitense Alfred T. Mahan e il decollo dei grandi cantieri baltici.L’associazione Flottenverein (“Lega Navale”) e gran parte dell’opinione pubblica tedesca – nonsolo armatori e industriali – accolsero con entusiasmo la decisione del sovrano. Al colossaleprogetto di costruzioni navali portato avanti dall’ammiraglio Alfred von Tirpitz, ministro dellamarina dal ’98, fece seguito nell’anno successivo il patto di concessione alla Germania, daparte del governo sultaniale di Istanbul e grazie alle garanzie della Deutsche Bank, dellaferrovia di Baghdad, che veniva a minacciare direttamentei progetti egemonici d’Inghilterra e diRussia sull’Asia. Il patto ottomano-tedesco era stato preceduto, appunto nel fatidico 1898, daun trionfale viaggio del Kaiser in tutto l’impero sultaniale, con strepitose visite a Istanbul, aDamasco, a Gerusalemme. Tutto questo allarmò Londra, che fino ad allora confidava sul tacitoprincipio di complementarità secondo il quale alla Germania era riservata l’egemonia militareterrestre sul continente europeo, all’Inghilterra garantita quella marittima che riposava, fral’altro, sul controllo delle due “porte” del Mediterraneo, Gibilterra e Suez. Secondo una notamassima di Winston Churchill, la flotta per l’Inghilterra era “una necessità”, per la Germania“un lusso”.A proposito dell’impero ottomano, che si andava con tanta decisione avvicinando allaGermania, va ricordato che dopo il congresso di Berlino il sultano Abdul-Hamid aveva abolitola Costituzione da poco promulgata, sciolto l’Assemblea rappresentativa e avviato una fase digoverno autocratico contrastata tuttavia ormai da una vasta, agguerrita e qualificata 7opposizione il nerbo della quale era costituito da studenti, intellettuali e ufficiali dell’esercitocoalizzati nella direzione d’una sempre maggior modernizzazione dell’impero e d’una lottarigorosa sia contro il dispotismo sultaniale, sia contro la tutela straniera che si era addiritturaconcretizzata, nel 1895, in un vero e proprio piano di spartizione dell’impero proposto dalconservatore britannico lord Robert Salisbury, che con la Germania aveva già negoziato unaccordo per precisare le aree di rispettiva espansione coloniale in Africa orientale. Era tuttaviastato il governo tedesco – memore del resto che la “convenzione mediterranea” del 1887 tesaa mantenere l’equilibrio in quello specchio d’acqua era stata ostacolata proprio dalla splendidisolation britannica – a bloccare quella proposta, negoziando in cambio con il sultano leimportanti concessioni ferroviarie che avevano condotto al progetto della “ferrovia di Baghdad”,al quale si è accennato. Ma quell’episodio rappresentò un altro passo sulla via delleostilità traBerlino e Londra; essa si ampliò e si approfondì ulteriormente nel triennio della “guerra boera”del 1899-1902 quando il Kaiser, sensibile alla tentazione pangermanistica, intervenne conpesantezza – del resto provocando ancora una volta nel suo paese un’ondata di consenso – inappoggio ai contadini germano-olandesi dell’Orange e del Transvaal che si erano ribellatiall’annessione britannica: erano in gioco le immense miniere d’oro della regione. Il che spiegadel resto come la repressione inglese fosse tanto dura.Il deciso raffreddarsi con la Gran Bretagna impedì alla Germania di trarre vantaggiodall’incidente di Fascioda nell’Alto Nilo del 1898, quando francesi e inglesi – rispettivamentepadroni della Tunisia dal 1881 e dell’Egitto nel 1882 (ma la Francia si era aggiudicata due anniprima anche il Madagascar – si erano scontrati nel tentativo comune di definire, ciascuno aproprio vantaggio, i confini della rispettiva egemonia sull’Africa equatoriale. Il Kaiser avrebbepotuto – e dovuto? – inserirsi nella crisi francoinglese, in occasione della quale la GranBretagna governata dal Chamberlain aveva abbandonato la splendid isolation salisburianaaccettando di non limitarsi più all’egemonia sugli oceani e alle questioni interne dellosterminato impero che fino al 1901 sarebbe stato retto dalla grande Vittoria. Poiché la storianon solo si può, ma si deve scrivere anche al condizionale, con tutti i “se” e i “ma” del caso, c’èda chiedersi come sarebbero andate le cose (comprese le nostre di oggi) se Guglielmo avessecercato di recuperare dopo Fascioda l’esempio bismarckiano del congresso di Berlinoproponendosi come “sensale di pace” per il continente africano, dove il Reich possedeva ilTogo, il Camerun e l’Africa Orientale Tedesca, nucleo di quella che dal 1964 sarebbe stata laTanzania. Qualora la strada della “mediazione imparziale” si fosse rivelata impraticabile, laripresa di un atteggiamento filoinglese da parte della Germania avrebbe senza dubbiocementato ulteriormente per contraccolpo l’alleanza franco-russa ormai già in atto: ma avrebbedeterminato anche un comune incremento degli interessi britannici e tedeschi nell’imperoottomano fino alla Persia e all’India. Forse avremmo avuto un prolungarsi della ferroviaBerlino-Istanbul-Baghdad, trasformata in una fantastica linea Londra-Berlino-Istanbul-Baghdad-Teheran-New Delhi, fattore fondamentale nel erspingere verso nord gli appetitiasiatici czaristi: e in quel gioco diplomatico, militare e finanziario-tecnologico sarebbe entratoanche il giovane Giappone meiji che difatti – vinta nel 1895 la guerra sinogiapponese di Corea(mentre la Russia aveva appoggiato la Cina, guadagnandosi in cambio le concessioni per lacostruzione della ferrovia Mosca-Pechino) che gli aveva consentito di entrare ancheformalmente nel nòvero delle grandi potenze – firmò nel 1902 un trattato con l’Inghilterra infunzione antirussa e si apprestò a umiliare la Russia nella guerra del 1904-5.
Un’eventuale 8alleanza anglotedesconipponica – che dato il suo orientamento antirusso non sarebbedispiaciuta all’Austria-Ungheria – sarebbe stata inoltre graditissima agli Stati Uniti, dove allatradizionale anglofilia dei ceti dirigenti si univa l’ammirazione per la potenza industriale etecnologica tedesca e l’attrazione culturale esercitata dal cosiddetto “teutonismo” vivo specietra gli intellettuali del New England e nelle accademie militari. Avrebbe potuto in tal mododeterminarsi un formidabile, invincibile blocco diplomatico, militare, finanziario e produttivoanglo-americo-germano-ottomano-nipponico, al quale Austria-Ungheria e Italia nonavrebberopotuto se non aggregarsi. Esso sarebbe stato capace di sconsigliare qualunquepulsione revanscistico-aggressiva francese e russa, d’imporre una più rapida ed efficaceoccidentalizzazione del mondo (già viva in Turchia, nel Vicino Oriente, nell’Africasettentrionale, in Persia, in India, in Giappone) e di assicurare al “processo di globalizzazione”– del quale oggi si conoscono gli estremi effetti, ma che è stato avviato fino dall’economiamondodel Cinquecento – un equilibrio che avrebbe conferito un senso molto diverso alprocesso di globalizzazione già in atto e prodotto ben diversi risultati rispetto a quello e aquelli che purtroppo conosciamo. In tal modo, si sarebbero potute evitare le due guerremondiali.Ma il Kaiser perse quell’occasione, che pure almeno fino al 1894 gli era stata prospettatadal cancelliere Leo von Caprivi, responsabile dello “strappo” con la Russia del mancatorinnovo del “trattato di controassicurazione” ma anche per questo fautore di un’intesa conl’Inghilterra e – da buon discendente, qual era, del seicentesco Maresciallo dell’ImperoRaimondo di Montecuccoli – sostenitore dell’alleanza con l’Italia. Invece Guglielmo, semprepiù compromesso dopo l’uscita di scena del von Caprivi con i pangermanisti che lo spingevanoad assumere una posizione antinglese a proposito della guerra boera e preoccupatodell’accerchiamento dal quale si sentiva stretto a proposito dell’alleanza franco-russa la quale,attraverso l’irridentismo slavo, premeva anche sui Balcani, non si curò di rinegoziare conl’Inghilterra quell’antico accordo che si era andato sfilacciando tra Anni Ottanta e Anni Novantadel secolo. Intanto però non riuscì nemmeno a impedire che l’Italia, che aveva aderitoall’accordo germanoaustrungarico del 1882 dando vita alla “Triplice Alleanza”, dopo lamaldestra avventura etiopica del ’94-’96, accedesse all’accordo segreto Primetti-Barrière del1902 con la Francia, che eliminava i postumi dello “schiaffo di Tunisi” e stipulava tra i duepaesi un’intesa fondata sul reciproco riconoscimento di zone d’influenza nell’Africasettentrionale (alla Francia il Marocco, all’Italia la Tripolitania e la Cirenaica che si sarebberocosì incuneate tra Tunisia francese ed Egitto inglese). A Berlino e a Vienna s’ ironizzò sui “giridi walzer” dell’infida diplomazia italiana: ma si sottovalutò il fatto che, nell’Italia ancor aderentealla “Triplice”, il giovane e aggressivo movimento nazionalista di Corradini e di D’Annunzio,che contro “l’italietta meschina e pacifista” auspicava un domani dominato dalla Volontà diPotenza (e quindi dall’industria bellica), si andasse più tingendo sempre più di spiritoantitedesco, del resto ereditato dal Risorgimento, e collegando con la causa irredentista vivanel nordest della penisola.La “politica delle mani libere” stava insomma conducendo il Reich di Guglielmo II, delresto “nibelungicamente fedele” (come amava esprimersi il cancelliere Berhard von Bülow)all’alleato austroungarico e anche a quello italiano, verso un progressivo isolamento, mentre siandava coagulando invece un formidabile accordo anglo-franco-russo culminato nel 1907 neltrattato di Pietroburgo che poneva fine al Great Game tra Russia e Inghilterra stabilendo solide 9aree concordate d’influenza tra la Persia e l’Asia centrale mentre, dopo l’annessione dellaBosnia-Erzegovina da parte dell’Austria-Ungheria nel 1908, l’infida Italia siglava nel 1909 aRacconigi un’intesa segreta con la Russia per impedire ulteriori progressi asburgici neiBalcani.Dopo l’ Entente cordiale del 1904 tra Parigi e Londra, la Francia aveva intanto potutosfidare tranquillamente i furori e le minacce del Kaiser, che nel 1905 era pur sbarcatominacciosamente a Tangeri, e procedere all’occupazione del Marocco. L’anno dopo, con laconferenza di Algesiras, la diplomazia tedesca non poteva se non accettare una posizionefrancese “di preminenza” sul nordovest africano; la crisi, accesa di nuovo nel 1911 quando laFrancia occupò Fez, venne subito sedata da un’intesa franco-tedesca che stabiliva unasoddisfacente compensazione territoriale per la Germania tra Congo e Camerun. Nelmedesimo anno l’Italia, aggredendo la Tripolitania e la Cirenaica, compromettevaulteriormente il suo rapporto con la “Triplice Alleanza” dato che quelle terre erano almenoformalmente parte dell’impero ottomano, alleato della Germania.Vigilia d’armiLe crisi balcaniche del 1908-13 e il conflitto italo-ottomano (la “guerra di Libia”, comesarebbe stata chiamata più tardi) furono le due prove generali della tragedia scoppiata nel ’14.Per cogliere meglio la dinamica degli eventi, è necessario tornare un istante all’imperoottomano e alla sua storia interna.La politica autoritaria e repressiva del sultano Abdul-Hamid gli era andata guadagnandomolti avversari che avevano cominciato ad organizzarsi verso la fine del secolo XIX, perquanto in un primo tempo si riunissero soprattutto in esilio oppure in Egitto. Erano in genereammiratori dell’Occidente, spesso simpatizzanti per il socialismo o per le correnti della destramonarchica francese: ma non mancavano nemmeno i liberali che trovarono un rappresentanteillustre nel principe Sabah ad-Din, nipote del sultano. Nel 1907 i vari gruppi che costituivanol’opposizione al governo di Abdul-Hamid, capeggiati dal Comitato “Unione e Progresso” e dallasocietà “Patria e Libertà” guidata da Mustafà Kemal si fusero nel Partito che ordinariamentevenne denominato “dei Giovani Turchi”, con un programma fortemente nazionalista emodernizzatore. Ma anche il sultano aveva frattanto a sua volta scelto con decisione la cartanazionalista: il che aveva comportato la volontà di turchizzazione progressiva della penisolaanatolica, con il primo, tragico risultato dei primi massacri dei cristiani armeni, tra 1890 e 1897(le stime vanno dalle 100.000 alle 250.000 vittime). Una guerra scoppiata tra 1896 e 1897contro la Grecia che rivendicava l’annessione di Creta fu vinta abbastanza facilmente; ma eraormai chiaro che l’impero stava avviandosi a coincidere sempre di più, sotto il profiloterritoriale, quasi esclusivamente con la penisola anatolica: che – come pretendevano conforza i “Giovani Turchi” – andava quindi rigorosamente turchizzati, espellendone le minoranzeetniche (arabi nel Meridione, greci sulle coste occidentali); da questo punto di vista – mentre icurdi venivano soggetti a una specie di turchizzazione unilaterale -, il problema più grave eracostituito dagli armeni, che per giunta erano anche cristiani. L’Islam difatti, dal punto di vistanon tanto propriamente religioso, quanto storico-culturale, stava divenendo sempre di più unaparte del progetto di costruzione di una nuova “grande patria turca”: il sovrano sfoggiavaatteggiamenti panislamici e aveva rivendicato il titolo califfale, mentre i “Giovani Turchi”, 10sempre più filotedeschi e ammiratori della Germania guglielmina, si andavano distinguendo innazionalisti turchi, prossimi al programma kleindeutsch, e “panturanici” che, ispirandosi alpangermanesimo, sognavano un futuro impero “da Edirne a Samarcanda” fondato sull’unionein un solo grande stato-nazione di tutte le genti turche a ovest e ad est del Caspio. La visitadel Kaiser alle terre dell’impero nel 1898 rafforzò l’amicizia turco-germanica.La rivolta militare di Salonicco capeggiata da un gruppo di giovani ufficiali tra i quali sidistingueva il giovane leader Enver Bey, nel luglio del 1908, ebbe come scopo immediato ilristabilimento della Costituzione del 1876 soppressa da Abdul-Hamid, ma rappresentò in realtàla sua fine politica: egli fu difatti qualche mese dopo deposto. Il nuovo sultano Mehmet V(1909-1918) dovette affrontare una serie di sollevazioni dall’Albania alla penisola arabica. Gliitaliani non solo strapparono all’impero le ultime residue province d’Africa, ma occuparonoanche Rodi e il Dodecaneso e giunsero a forzare i Dardanelli. Non c’era ormai fra Tangeri eSuez più un tratto di costa sul quale sventolasse la bandiera ottomana, che fino a una trentinadi anni prima aveva almeno formalmente garrito superba su tutta l’Africa settentrionale.Mentre, il 12 ottobre del 1912, impero ottomano e Italia accedevano alla faticosa pacedi Losanna, l’ulteriore indebolimento dell’impero sultaniale causato dalla guerra italo-turcadava i suoi frutti immediati.Fin dal settembre del 1908 la Grecia si era alfine annessa Creta; dall’ottobre delmedesimo anno Ferdinando I di Sassonia-Coburgo, principe di Bulgaria, si era proclamatoCzar mentre l’Austria aveva come sappiamo definitivamente incorporato nonostante leproteste turche Bosnia ed Erzegovina. Si andava preparando, con l’accordo almenoprovvisorio di Austria e Russia – e la riserva di un loro futuro scontro per l’egemonia – ladefinitiva deturchizzazione, anche formale, dell’intera penisola balcanica. Temendoun’eccessiva espansione austriaca, e con l’implicito appoggio russo, la Serbia, la Bulgaria, laGrecia e il Montenegro (regno indipendente dal 1910) dichiararono guerra alla Turchia in mododa espandere e rafforzare il loro ruolo prevenendo futuri progressi di Vienna. Ciò dette aditoalle due successive, complesse “guerre balcaniche” del 1912-13, dalle quali si uscì con lapace di Bucarest del 1913 che deluse tutti i contraenti ma risultato della quale fu ilriconoscimento dell’Albania come principato autonomo.Intanto, la Turchia uscita dalla “rivoluzione di Salonicco” si dibatteva preda delle fazioni.Nel luglio del 1912, dopo una serie di colpi di mano, un governo detto del “Grande Gabinetto”,presieduto da Ahmet Muhtar Pascià, aveva sciolto l’assemblea nazionale e adottato unapolitica violentemente opposta ai membri del partito di “Unione e Progresso”. Il nuovo governofu rovesciato nel gennaio del 1913, in piena crisi balcanica, da Enver Bey che assunsedirettamente il potere – insignito anche del titolo di pasha – a capo di una trojka rivoluzionariae che, profondamente filotedesco e ammiratore del pangermanesimo, non era a sua voltalontano da simpatìe panturaniche e aveva organizzato validamente in Cirenaica e Tripolitaniala resistenza contro gli italiani. S’impose così un regime monopartitico, legittimato peraltrodalle elezioni del maggio 1914: ne fu anima “ideologica” un intellettuale di origine kurda, ZiyaGökalp (1876-1924), che stabilì in tre punti fondamentali il suo programma nazionalista esociale: turchizzazione dei settori sociali, economici e politici del paese (nella prospettiva d’unfuturo impero che comprendesse i turchi non solo dell’Anatolia, ma anche dell’Azerbaijan edell’Asia centrale); islamizzazione come segno identitario e rimedio morale ai guasti provocatidall’occidentalizzazione; ma al tempo stesso decisa occidentalizzazione sotto il profilo non 11etico, bensì politico, tecnologico e militare (egli definiva tutto ciò “contemporaneizzazione”). Ilnazionalismo unitarista-progressista s’ispirava largamente al darwinismo sociale, concepiva lalotta tra le nazioni come conflitto tra “specie organiche” e avversava la morale democraticaimportata dall’Occidente anzitutto come morale individualistica, sostenitrice indiscriminata didiritti e negatrice di doveri. Scriveva Gökalp: “Non dire mai: ho diritto; il diritto non esiste; c’èsolo il dovere…Il mio animo, il mio cuore non pensano, sentono. Seguono la voce che vienedalla nazione. Chiudo gli occhi, compio il mio dovere”.La “guerra di Libia”, definitivamente dimostrando la debolezza dell’impero ottomano,aveva provocato fra l’altro il contraccolpo dell’approfondirsi della crisi balcanica, dalla qualesprizzò come sappiamo la prima scintilla, il casus belli del 1914.“Ora, o malanno, tu sei consumato!” (Shakespeare, Giulio Cesare, Atto I).Il Grande Complotto, quello che spiega e che ha sempre spiegato tutto, quello dei GrandiVecchi e dei Superiori Sconosciuti, non esiste e non è mai esistito nella storia. Che peraltro èda sempre piena di grandi e piccole forme di complotto, di congiura, di macchinazionecontrastanti fra loro. Tuttavia, per quanto a livello di prove non disponiamo di nulla che ci aiutiin via definitiva a far analiticamente luce sul colpo di pistola di Sarajevo – né sull’assassinio diJFK, né sull’11 settembre -, a livello indiziario e sintetico siamo un po’ nella condizione in cuisi sentiva Pasolini nei confronti di Andreotti: non possiamo “provare”, però “sappiamo”.All’interno sia del giovane governo serbo, sia dei gruppi irridentisti serbi nell’imperoaustroungarico, e con l’appoggio dei servizi czaristi, c’era chi era convinto che si dovesse adogni costo fermare il progetto slavofilo dell’arciduca Francesco Ferdinando, che tendeva ariformare la monarchia asburgica su una base trinazionale – il cosiddetto “trialismo” -concedendo all’elemento slavo entro i suoi confini pari libertà e dignità di quella ottenuta dagliungheresi nel 1917. D’altronde, la politica dell’arciduca era avversata anche da ambientiviennesi di corte e di governo. Alla vigilia del fatale ’14, venti di guerra soffiavano impetuosiattorno allo Czar Nicola e ai suoi consiglieri, sempre più persuasi che dalle frustrazioni militarisubìte da parte giapponese e da quelle politico-diplomatiche impostagli da tedeschi e daaustroungarici nello scacchiere balcanico ci si potesse riscattare solo con una guerra cheavrebbe portato finalmente la marina russa oltre il Bosforo e fino all’Adriatico: e convinti che, aottenere tale secondo scopo, l’irredentismo slavo in Austria-Ungheria e il panslavismosarebbero stati preziosi mezzi (eppure, nell’ entourage di corte, il sinistro ma intelligenteGrigorij Rasputin era nettamente contrario a qualunque prospettiva politica che potessedeterminare uno scontro con la Germania, alleata sicura dell’Austria).A Vienna, il capo di stato maggiore Franz Conrad von Hötzendorf era a capo di un“partito della guerra” che propugnava una preventiva “resa dei conti” nei confronti della Serbiache sonasse anche fermo mònito allo Czar: ma il vecchio imperatore Franz Joseph di conflitti– anche perduti – ne aveva vissuti troppi fin da quando diciottenne era salito al trono nel 1848,e non intendeva sentirne parlare.Chi mordeva invece il freno era una forte e importante parte dell’opinione pubblicafrancese, che nel 1898 aveva trovato la sue espressione “nazionalistica integrale” antitedesca,antisemita, antiprotestante e antidemocratica nella monarchica Action Française di CharlesMaurras e di Léon Daudet, che avrebbe svolto un fondamentale ruolo nell’incubazione dei 12movimenti fascisti europei: Maurras, capofila del fronte antidreyfusardo dal ’94 in poi, era unassertore convinto dell’opportunità di servirsi dell’alleanza russa per appoggiare gli irridentistislavi nei Balcani e obbligare così la Germania a scendere in campo in appoggio dell’alleatoaustriaco. Ma il cancelliere tedesco von Bülow vegliava attentamente e, ben deciso a noncadere nella trappola politica e diplomatica francese, scoraggiava i militaristi austriaci allaConrad dissuadendoli da mosse avventate.Furono appunto queste le difese antibelliciste travolte dall’incidente di Sarajevo: anchese gli oltranzisti austriaci, che si rivelarono inflessibili nell’imporre alla Serbia un inaccettabileultimatum e determinarono quindi la dichiarazione della guerra che avevano già da tempoauspicato e preparato. Non si aspettavano null’altro che un nuovo circoscritto conflittobalcanico.Chi invece senza dubbio non desiderava il conflitto, oltre a Sua Maestà Britannica, eraproprio colui che fu invece a posteriori fatto segno a ogni sorta di preconcette, perfinoisteriche, accuse: il Kaiser Guglielmo, senza dubbio militarista e bellicista, ma che purconsiderava l’esercito e la flotta i pilastri – insieme con l’industria, la finanza e la cultura –dell’egemonia tedesca sull’Europa senza tuttavia nutrire alcuna intenzione di provareprovocando un conflitto quella superiorità del suo paese che era una certezza condivisa intutta Europa, a cominciare dalla stessa Francia dov’essa provocava tuttavia pericolosi conatiisterici.L’imperatore tedesco non voleva la guerra: il suo errore, tuttavia, era consistito nell’aversottovalutare l’isolamento diplomatico nel quale la Germania era gradualmente caduta a causadella sua politica e, soprattutto, nel non essersi preoccupato del fatto che sia Francia eInghilterra, sia Inghilterra e Russia avevano superato le loro divergenze e rivalità per unirsi,nella “Triplice Intesa”, proprio contro il Reich. Ora, le forze aderenti a quell’alleanzacircondavano gli imperi centrali.La dinamica delle cause immediate dello scoppio dellaprima guerra mondiale è stataripercorsa infinite volte. In sintesi brevissima le effemeridi della tragedia sono facili darievocare: il 28 giugno 1914, a Sarajevo, il terrorista serbo Gavrilo Princip uccise a colpi dipistola l’arciduca Francesco Ferdinando, erede ai troni di Austria e Ungheria, e sua moglieSofia. Al tragico evento fecero seguito violente campagne di stampa tanto nell’imperoasburgico quanto in Serbia, mentre all’interno dei vertici politico-militari austro-ungarici siformava la convinzione che fosse giunto l’indilazionabile momento di decisivo interventomilitare in grado di riequilibrare le influenze politiche nei Balcani, modificate in favore dellaRussia dalla crisi del 1908-1913.Acquisita la garanzia di un pieno sostegno da parte della Germania, il 23 luglio lacancelleria viennese indirizzava alla Serbia un ultimatum avanzando richieste chiaramenteinaccettabili con lo scopo di arrivare alla guerra.La risposta di Belgrado, ancorché moltoconciliante, non venne accettata: il 28 luglio l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia,senza però proclamare la mobilitazione generale dell’esercito, evento che avrebbe costituitoper la Russia una minaccia così grave da indurla a rispondere alla stessa maniera, il chesarebbe equivalso a una dichiarazione di guerra che, evidentemente, si voleva evitare. Invecelo Czar ordinò unilateralmente, il 30 dello stesso mese, la mobilitazione delle truppe: un gestoinatteso tanto per l’Austria-Ungheria quanto per la Germania, che corrispondeva a unaformale dichiarazione di guerra dato che, una volta scatenato, l’apparato bellico diveniva 13inarrestabile. Il vantaggio tattico di una nazione che dispone di tutte le sue forze riunite epronte a combattere rappresenta difatti un rischio non accettabile dai suoi avversari e provocaun’immediata e inevitabile reazione. Infatti il 31 luglio la Germania, dopo aver chiesto allaRussia di sospendere la mobilitazione senza averne ricevuto risposta, le dichiarava guerra; el’Austria-Ungheria mobilitava a sua volta. Il 1° agosto ebbe inizio anche la mobilitazionefrancese: e puntuale giunse a Parigi, il giorno dopo, la dichiarazione di guerra da partetedesca.Insomma, la crisi austro-serba del luglio 1914, ch’era in realtà una crisi austro-russa(nella quale ciascuna delle due contendenti contava sul suo sicuro alleato, rispettivamente laGermania e la Francia) coinvolse rapidamente nel conflitto Germania, Francia, Belgio,Inghilterra e Giappone (che ambiva a occupare la concessione coloniale tedesca diChaochow, chiave alla sua penetrazione in Cina settentrionale).Una volta impegnati in guerra sia a occidente contro la Francia sia a oriente contro laRussia, gli imperi centrali iniziavano una corsa contro il tempo: la loro unica speranza di vittoriaconsisteva nello sconfiggere gli avversari uno alla volta, concentrando le forze prima a ovest epoi a est in modo da utilizzare l’unico vantaggio strategico di cui disponevano, la posizione.L’invasione del Belgio da parte dei tedeschi, iniziata il 4 agosto per avvolgere l’ala sinistra deldispositivo francese, costituì l’occasione per l’ingresso in campo anche della Gran Bretagna,che dichiara guerra alla Germania il giorno successivo. Era accaduto appunto quel che ilcancelliere Bethmann-Hollweg temeva e aveva fatto di tutto per evitare: ma nel Reich l’intesafra i politici e i militari era saltata e le resistenza del governo travolte.Intanto il 2 agosto, esattamente lo stesso giorno della dichiarazione tedesca di guerraalla Francia, la Turchia – che aveva stipulato un trattato con la Germania – e dichiarò la“neutralità armata”; ma il 20 ottobre successivo due navi da guerra tedesche formalmentepassate alla flotta turca attaccarono le coste russe del Mar Nero. Di conseguenza, il 5novembre, Russia, Inghilterra e Francia dichiararono guerra all’impero ottomano. La catenadegli avvenimenti fece da allora il suo corso fatale: l’Italia, forte della promessa franco-inglesedi compensi territoriali dal Tirolo meridionale all’Istria e alla Dalmazia (nonché di assegnazionedi alcuni distretti territoriali e di concessioni minerarie in Asia Minore una volta sconfitta laTurchia), dichiarò nel maggio del 1915 guerra all’Austria; la Bulgaria scese in guerra al fiancodella Germania mirando a strappare la Macedonia alla Serbia e ponendo un’ipoteca sullaDobrugia rumena; e la Romania a sua volta scelse le potenze dell’Intesa che le promiserosostanziose aree territoriali tolte all’Ungheria. In un trattato del 18 marzo del 1915, la Franciae l’Inghilterra assicurarono alla Russia il possesso, a guerra finita, di Istanbul e degli Stretti: ciòallarmò la Grecia che, dinanzi alle prospettive d’un’egemonia russa nel Mediterraneo del nordeste di un eccessivo rafforzamento della Serbia alla sua frontiera settentrionale, preferìattenersi – nonostante i ricatti dell’Intesa, che giunse a bloccare i suoi porti impedendo l’arrivodi rifornimenti alla popolazione – a un regime di neutralità. Ma alla fine la pressione francoinglesedivenne talmente intollerabile da obbligare nel giugno del ’17 re Costantino all’esilio: ilnuovo governo, guidato dal nazionalista Eleutherios Venizelos, entrò in guerra al fianco degliAlleati con l’obiettivo di annettersi Istanbul e le coste tracie e anatoliche (tanto più chel’insuccesso dell’attacco alleato ai Dardanelli tra aprile del ’15 e gennaio del ’16 e poi la crisiche stava travolgendo la Russia sconfitta dalla Germania facevano prevedere che l’impegnofranco-inglese riguardante Istanbul e gli Stretti a vantaggio dello Czar sarebbe caduto). Nel ’16 14si avviava la “rivolta araba del deserto” sostenuta dagli inglesi contro la Turchia e infine, nel’17, gli Stati Uniti dichiaravano a loro volta guerra prima alla Germania, quindi all’Austria-Ungheria, mentre dal teatro del conflitto usciva stremata la Russia che andava incontro allalunga esperienza della Rivoluzione e della guerra civile. Il malanno era ormai consumato: e ilventre che lo partorì è ancora gravido.
Franco Cardini